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venerdì 7 febbraio 2014

Marocco, abolito il "matrimonio riparatore". Un passo nella giusta direzione, ma..

Il 22 gennaio scorso la camera bassa del regno alawita, dopo l'avallo dei Conseillers e del governo, ha votato per l'abrogazione del comma 2 dell'art. 475 del codice penale. Secondo l'articolo in questione, l'autore di violenza su una minore rischiava fino a cinque anni di prigione, ma poteva evitare la condanna sposando la sua vittima.




Come successo alla giovane Amina Filali, sedicenne, che nel marzo del 2012 si è tolta la vita a causa del calvario quotidiano impostole dal "matrimonio riparatore" (una misura che l'ordinamento marocchino ha recepito dai vecchi codici francesi e non dalla tradizione giuridica islamica, contrariamente a quanto affermato dalla stampa occidentale).

Il caso di Amina, sopraggiunto in momento di forti contestazioni sociali e politiche nel paese, aveva suscitato enorme scalpore e aveva dato vita ad un movimento di protesta guidato dalle associazioni femministe e da quelle per la difesa dei diritti umani.

Manifestazioni e sit-in di fronte al Parlamento a cadenza regolare si sono protratte per mesi per chiedere la revisione di un codice penale ritenuto arcaico e altamente discriminatorio nei confronti della donna.

Anche il panorama della cultura dissidente si era mosso per "denunciare l'ipocrisia di un sistema sociale e politico che dietro a una facciata tollerante e egualitaria (come il codice della famiglia - Moudawwana - e alcuni articoli della nuova costituzione, tra cui il 19 che consacra formalmente "l'uguaglianza di diritti tra sessi", nda) continua a veicolare e a cauzionare sul piano giuridico una mentalità patriarcale e dogmatica".

Questo l'intento del film 475. Quando il matrimonio diventa un castigo (clicca qui per la versione integrale sottotitolata in inglese), realizzato dal collettivo di cineasti Guerrilla Cinema, che si ispira proprio alla vicenda di Amina, divenuta un simbolo nella lotta per la parità. Sulla stessa linea il documentario 475. Break the silence, dell'anglo-marocchina Hind Bensari.

Senza la pressione costante sul governo da parte della società civile, probabilmente, non si sarebbe mai arrivati ad un simile epilogo. Una constatazione che non ha impedito ai deputati e all'esecutivo di celebrare la revisione dell'art. 475 come una "vittoria istituzionale".

Meno entusiaste e moderatamente soddisfatte, invece, le organizzazioni femministe e per i diritti umani, che chiedevano una riforma radicale dell'impianto legislativo. "Possiamo considerarlo un buon inizio, ma non è abbastanza. Il Parlamento non deve aspettare che la violenza si produca nel modo più tragico per agire. Dovrebbe piuttosto prevenire, per evitare che si verifichino situazioni drammatiche", è il commento di Zohra Chaoui, avvocato e presidente dell'associazione per la lotta contro la violenza sulle donne.

Le fa eco un'altra nota attivista femminista, Najat Razi, secondo cui le rivendicazioni del movimento per l'uguaglianza sono state "solo parzialmente soddisfatte. La nostra battaglia non si limita ad un singolo articolo".

Anche la ong Amnesty International, con un comunicato, considera l'emendamento all'art. 475 "un passo importante nella giusta direzione", ma non nasconde la necessità - per il Marocco - di una "strategia esaustiva per la protezione delle donne e delle ragazze dagli abusi di cui sono frequentemente vittime".

"C'è ancora molto da fare", sottolinea Hassiba Hadj Sahraoui, direttrice aggiunta per l'area MENA dell'organizzazione. Il codice penale, spiega l'attivista, prevede pene minori se la vittima di uno stupro non è vergine, rimanendo "ancorato a concetti come l'onore o la decenza piuttosto che al diritto alla protezione e alla giustizia. Ma i diritti delle donne non possono essere definiti in funzione della verginità o della situazione familiare".

Altro grave ostacolo sulla strada dell'uguaglianza, gli articoli 490 e 491, che criminalizzano le relazioni sessuali fuori dal matrimonio. Questi provvedimenti, riferisce Amnesty, "dissuadono le vittime dal denunciare i loro aggressori, poiché temono di essere a loro volta perseguite in tribunale". Emblematico, a questo proposito, il caso del deputato Hassan Arif e della funzionaria Malika Slimani, passata da querelante (con un figlio nato a seguito della violenza subita) a imputata per decisione della corte di Rabat.

Le lacune della legislazione non si fermano qui, poiché il codice non ammette che l'abuso sessuale possa avvenire in circostanze che non implichino necessariamente l'utilizzo della forza finisca, o che lo stupro possa avvenire all'interno del matrimonio.

Eppure i numeri parlano chiaro. La stessa ministra della famiglia Bassima Hakkaoui, a fine 2012, ha affermato pubblicamente che più di sei milioni di donne marocchine - su una popolazione totale di 33 milioni - hanno subito violenze, di cui oltre la metà all'interno delle mura domestiche.

A riassumere la situazione ci pensa Nadir Bouhmouch, tra gli autori di 475. Quando il matrimonio diventa un castigo. "Siamo contenti, certo, ma il lavoro che ci spetta - come popolo e come istituzioni - è ancora tanto. La donna in Marocco è ben lontana dall'essere libera", ha commentato il giovane regista, dalla sua pagina facebook, poco dopo la votazione in Parlamento.

"Come spieghiamo nel nostro film, l'abolizione dell'articolo risolve solo in parte il problema. Non è corretto affermare che adesso le ragazze marocchine non saranno più costrette a sposare i loro stupratori. La stragrande maggioranza di questi casi, infatti, avviene al di fuori della legge, con matrimoni combinati tra le due famiglie coinvolte. Solo se c'è disaccordo, come per Amina, si ricorre ad un giudice e quindi alla legislazione".

"Dunque - continua Nadir - ci sarebbe bisogno di una legge che vieti esplicitamente i matrimoni combinati, orfi. Non basta la cancellazione del comma 2 al 475 per dire che in futuro non ci troveremo di fronte ad altre Amina Filali. Più in generale, c'è bisogno di un programma di educazione e sensibilizzazione nazionale alle questioni di genere, alla vita coniugale e alla sessualità per poter intervenire, a monte, sulla mentalità. Ma tutto questo implica una reale volontà politica e la sua esistenza è ancora tutta da dimostrare..".

(Articolo pubblicato su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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