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venerdì 7 febbraio 2014

I tre anni di Willis from Tunis

Nadia Khiari è una disegnatrice e pittrice tunisina, insegnante all'Istituto di Belle Arti di Tunisi e direttrice di una galleria artistica. Il suo personaggio, il gatto Willis from Tunis, è nato il 13 gennaio 2011, durante l'ultimo discorso tenuto dall'ex presidente Ben Ali poco prima della fuga. "Ci prometteva di concedere la libertà di espressione fino ad allora negata, ma sapevamo tutti che la sua fine era inevitabile".


Da quel momento Willis ha raccontato sui social network gli eventi politici e sociali che hanno accompagnato la transizione tunisina, divenendo una celebrità. A tre anni dalla sua creazione, la matita di Nadia Khiari continua a tratteggiare tavole impregnate di humour e pungente ironia.

"Disegnare è un mezzo per buttare fuori le mie angosce, per condividere timori e speranze e per trovare la forza di riderci sopra. Ho deciso di continuare anche dopo la rivoluzione perché ormai si era creato un feeling speciale tra me e i seguaci di Willis. Una solidarietà nel segno dell'ironia", spiega Nadia ai colleghi di Jol Press.

L'essere donna non è risultato di ostacolo né nella caricatura, un divertissement, né nel suo lavoro, conferma la disegnatrice. "La caricatura è un bisogno, una sorta di catarsi. Per molto tempo mi hanno scambiato per un uomo, ma quando è diventato chiaro a tutti che ero una donna non è cambiato niente. Nessun ostacolo al mio bisogno di libertà".
La creatrice di Willis afferma di non porsi mai limiti, matita in mano, di fronte alla tavola bianca. "Mi prendo gioco di tutti, del governo e dell'opposizione, degli uomini e delle donne, perfino di me stessa".

"Certo, alcuni disegni possono risultare scomodi, far arrabbiare. Mi capita di ricevere messaggi o commenti piuttosto aspri. Ma fa parte del 'gioco'. Tutti si esprimono e non tutti la pensano allo stesso modo. Ma quando disegno non faccio calcoli, non mi metto a pensare 'questo piacerà?', 'questo mi attirerà delle critiche?'. Prendo la matita in mano e alea jacta est".

Nonostante la libertà di espressione non sia ancora una garanzia nella Tunisia post-rivoluzione, Nadia - che collabora con la rivista Siné Mensuel - ammette che la "primavera" è servita alla stampa per liberarsi della censura o almeno "per provare ad essere libera".

L'aver ottenuto il riconoscimento dell'ong internazionale Cartooning for peace è stata poi "un'immensa sorpresa". "Mi consideravo semplicemente una che disegna gatti su facebook, non avevo riflettuto sulla portata di queste tavole. Caartoning for peace mi offre la possibilità di incontrare caricaturisti di tutto il mondo, di scoprire le loro difficoltà e i loro talenti. E' anche un mezzo per abbattere frontiere e riconciliarsi attraverso l'arte e l'humour".


Intervista alla disegnatrice Nadia Khiari in occasione dei tre anni dalla rivoluzione tunisina. Traduzione dall'articolo di JOL Press.



A tre anni di distanza dalla sollevazione popolare, quali sono i risultati della rivoluzione?

Dopo l'immolazione di Mohamed Bouazizi, ce ne sono state altre 186. Questo ci fa capire che le cose non si sono affatto sistemate. Inoltre, il fatto che Marzouki, Ben Jaafar e il primo ministro non si siano recati a Sidi Bouzid per la commemorazione, ufficialmente per motivi di sicurezza, è la testimonianza del loro fallimento.

Omicidi politici, imboscate contro l'esercito, minacce terroriste, non è quanto ci aspettavamo dalla rivoluzione. Senza parlare del costo della vita che diventa ogni giorno più caro.

Dal 2010 in Tunisia si sono succeduti quattro presidenti della Repubblica, sei governi, quattro primi ministri..in che modo il paese può risollevarsi da questa grave crisi politica?

Forse bisognerebbe fare un passo indietro e ricordarsi degli obiettivi per i quali il 23 ottobre 2011 siamo andati a votare: un governo provvisorio e una costituzione, per poi tornare alle urne su nuove basi democratiche. Ma in tutta questa attesa, le nomine all'interno delle istituzioni e delle amministrazioni sono esclusivamente politiche, i partiti al potere si sono comodamente insediati quando avrebbero dovuto essere solo di passaggio. Un'amministrazione tutt'altro che neutra non è un buon segno per la trasparenza delle future consultazioni.

Con la fuga di Ben Alì è stato rotto il muro della censura. Ma oggi, la libertà di espressione è garantita?

No, è ancora minacciata. Parlare apertamente e puntare il dito dove fa male non è certo ben visto dalle autorità. Senza parlare del caso di Jabeur Mejri, che si è visto condannare a sette anni e mezzo di carcere per una condivisione su facebook. Il presidente Marzouki ha la possibilità di liberarlo, ma non lo fa. Perché? E il ministro dei Diritti Umani dovrebbe capire che sono i diritti di tutti i tunisini che deve difendere!

Il rapper Weld El 15, di recente, è stato condannato a quattro mesi di carcere prima di essere liberato in appello. Si è trattato di un caso isolato?

Weld El 15 è servito da esempio, per mettere paura e far tacere i giovani. Ma il suo caso è stato subito strumentalizzato a fini elettorali. Oggi quasi tutti gli artisti rischiano di diventare degli strumenti in mano ai politici, quelli che li minacciano e quelli che li difendono.

In una petizione on-line in sostegno al rapper, gli autori hanno denunciato certe pratiche del governo, ritenute simili a quelle dell'era Ben Alì. Quali sono i più gravi scivoloni, in tema di rispetto delle libertà, commessi dal potere in carica nel post-rivoluzione?

La creazione dell'Agence Technique des Télécommunications, con il pretesto della lotta alla cybercriminalità. Quelli che osteggiano questo tipo di sorveglianza, che ricorda le vecchie pratiche, sono dunque tutti dei criminali, come le autorità vorrebbero far credere? E questi sorveglianti, chi li finanzia? Chi li sorveglia?

Tre anni dopo, cosa è cambiato per la popolazione? Quali sono le preoccupazioni e le speranze dei tunisini?

Non conosco le preoccupazioni di tutti i tunisini. Ma spesso, discutendo per strada, sento nascere quasi un rimpianto per Ben Alì. Questo mi fa impazzire. La gente è arrivata a rimpiangere la dittatura. Sicurezza, carovita, disoccupazione..è quasi una psicosi ed è un segnale allarmante.

Tra i tuoi disegni, ce ne sono alcuni che sottolineano il fossato esistente tra la classe politica e i giovani, principali attori della sollevazione. Oggi sono ancora loro le prime vittime di questa crisi sociale e politica?

I ragazzi che incontro sono infuriati. Non si riconoscono in questa classe politica post-rivoluzione. Non fanno altro che dire: "come possono capirmi tutti questi capelli bianchi? Non hanno nessuna idea dei nostri problemi, non conoscono nemmeno il nostro linguaggio".

Molti non hanno già più voglia di votare, nessun candidato - dicono - corrisponde alle loro aspettative. Ma questi giovani possiedono un'energia straordinaria, una sete di vivere, dei sogni e tanta creatività. Quando li incontro mi danno la carica e, nonostante tutto, riesco ad essere ottimista.

(Articolo e traduzione sono stati pubblicati su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)
 

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