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martedì 12 novembre 2013

Turchia-UE: riparte il negoziato, tra violazioni e scarso interesse

Riaperto pochi giorni fa il processo di adesione di Ankara all'Europa, sebbene "i turchi non sembrano più così entusiasti come dieci anni fa". Il punto con il professor Etienne Copeaux del CNRS di Lione.



(traduzione dell'articolo di Sybille Larocque per Jol Press)
Dopo tre anni di silenzio l'Unione Europea ha deciso di riaprire i negoziati di adesione al governo turco, sottolineando "gli avanzamenti democratici" compiuti da Ankara per giustificare l'avvio del nuovo capitolo di trattative.

Ma la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è diventata davvero così democratica? I suoi cittadini si sentono europei? E sono sempre tentati dalla prospettiva di integrare un'Europa in evidente crisi economica?

A rispondere è il professor Etienne Copeaux, ricercatore al Groupe de Recherche et d'études sur la Méditerranée et le Moyen Orient (CNRS) di Lione e curatore di un blog interamente dedicato alla Turchia.


L'Unione Europea ha deciso di rilanciare il processo di adesione. Cosa ne pensano i turchi? Vogliono davvero integrare l'UE?

Difficile rispondere, quando diciamo turchi ci riferiamo ad un insieme di persone molto variegato tra loro. All'interno della sensibilità di sinistra c'è una reale volontà di entrare in Europa, anche se negli ultimi dieci anni si sta obiettivamente riducendo. D'altronde l'Europa in questo momento non offre prospettive molto allettanti. Dall'inizio degli anni 2000 in poi i turchi, compreso il mondo degli affari, cercano nuovi mercati e nuove strategie di sviluppo, il loro interesse verso l'UE è decrescente.


Dopo anni di negoziati e tira e molla, i turchi si sentono europei?

Per noi il sentimento di appartenenza all'Europa è ormai naturale, la nostra generazione è cresciuta con questa idea. Nel caso turco la situazione è un po' più complessa, sebbene Ankara fosse già dal 1963 nella prospettiva di integrare gli embrioni della futura UE. Ha ottenuto lo statuto di candidato all'adesione nel 1999 e durante gli anni che hanno preceduto questo riconoscimento la popolazione turca manifestava apertamente il desiderio di sentirsi europea. Anzi, le difficoltà interposte all'adesione da molti Stati UE sono state vissute come un'ingiustizia: i turchi si sono sentiti strumentalizzati, l'Ovest e la Nato si sono serviti di loro durante la Guerra Fredda e poi li hanno scaricati. Dirigenti politici e imprenditori erano consapevoli dei servizi offerti in ottica anti-comunista e si aspettavano qualcosa di più in contropartita.


Eppure in Europa sono ancora in molti a pensare che, a causa della loro storia e della loro cultura, i turchi non possano trovare posto nell'UE..

Invece, è proprio in virtù della loro storia che i turchi si sentono europei. L'impero ottomano è stato essenzialmente un impero europeo, fin dal XIV secolo. Conservatori, nazionalisti e islamisti ritengono che quest'Europa ottomana sia un'eredità imprescindibile, al contrario di quanto si pensa e si dice nel Vecchio continente.


L'UE è in crisi. Ankara non ha piuttosto interesse a girare lo sguardo altrove, in cerca di altri paesi più promettenti in termini di crescita e sviluppo?

Dei tentativi sono stati fatti anche in passato, specialmente dal primo governo a colorazione islamista di Necmettin Erbakan, tra il 1996 e il 1997, per formare un'unione dei paesi musulmani in via di sviluppo. Unione - conosciuta come D-8 - che era costituita da paesi molto diversi, dalla Nigeria alla Malesia. Nonostante i grandi mercati, almeno potenziali, rappresentati, il tentativo non è andato a buon fine.

Ce n'è stato un altro, dopo la dissoluzione dell'URSS, per creare una grande intesa commerciale turcofona che inglobasse tutti gli Stati dell'Asia centrale. L'intesa ha funzionato meglio in questo caso e ci sono tuttora numerosi investimenti turchi nella regione. Può essere un'alternativa, per il futuro, ma ha bisogno di tempo per strutturarsi.

Infine, ci sono stati vari tentativi di integrazione con i mercati arabi. Ma i turchi, sebbene musulmani, non sembrano avere troppe affinità con questo contesto. Allo stesso tempo non possono ignorarlo, sono i loro vicini. Così gli investimenti sono aumentati negli ultimi anni e, malgrado una certa instabilità conseguita alle "primavere", si vedono sempre più imprenditori turchi in paesi come Algeria, Egitto e Tunisia.


Rilanciando i negoziati, l'Unione Europea ha tenuto a sottolineare gli avanzamenti democratici compiuti da Ankara. Eppure, la Turchia è ancora un paese dove le minoranze sono perseguitate e dove una recente rivolta popolare è stata repressa con la violenza. Come valuta il discorso dell'UE su questo punto?

Piuttosto disarmante. L'Unione Europea si è focalizzata sugli eventi di giugno, constatando che ci sono stati eccessi da parte della polizia, ma ha ritenuto che la situazione sia ormai risolta. Invece, ha chiuso completamente gli occhi sulla repressione ferrea in atto dal 2009 che ha causato l'arresto di quasi 10 mila detenuti di opinione.

La Turchia è il secondo paese al mondo per numero di giornalisti in prigione. Alcuni processi vanno avanti da anni ormai, la libertà condizionale viene concessa con il contagocce e non c'è quasi nessuna speranza di proscioglimento per gli oppositori politici.


Allora perché questo discorso pronunciato dall'UE?

Ce lo chiediamo un po' tutti. Dopo le reticenze del passato, sembra esserci un'eccessiva compiacenza nei confronti del governo turco. Anche i grandi media europei tacciono sulla situazione turca, mentre attualmente l'esecutivo di Erdogan porta avanti una campagna di repressione contro le forze dissidenti della società civile quasi comparabile a quella condotta da Putin in Russia.

Noi critichiamo Putin ma rimproveriamo in maniera leggera Erdogan, adottando un atteggiamento di "due pesi due misure" riprovevole dal mio punto di vista. Quel che è peggio, c'è da temere che l'Europa stessa si stia "turchizzando", nel senso poliziesco dell'espressione. Con il pretesto della lotta al terrorismo si giustifica un livello di repressione sempre più alto.


(Traduzione pubblicata in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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