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venerdì 15 novembre 2013

Il fattore curdo nel conflitto siriano

La minoranza curda sta vivendo un momento storico con l'amministrazione del proprio territorio dopo il ritiro delle forze di regime. L'evolversi della situazione dipenderà dalle relazioni con le opposizioni ad Assad e dal processo di pace in Turchia.



(traduzione dell'articolo di David Meseguer per Afkar/Idées n. 38, été 2013)

Nell'intento di mantenersi al potere e di mettere a tacere le voci che chiedevano una sua dipartita, Bashar Al Assad aveva promesso - nel marzo 2011 - una serie di riforme. Una di queste era la concessione della cittadinanza siriana a 360 mila curdi che il partito Baas si era sempre rifiutato di riconoscere durante i suoi cinquant'anni di mandato.

L'alleanza tra Damasco e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), maturata nel corso degli anni '80 e '90 con Hafez Al Hassad alla presidenza, era stata infranta nel 2000 con l'arrivo al potere di Bashar e il suo riavvicinamento ad Ankara. A partire da questo momento, la repressione del regime siriano contro la popolazione curda - il 10% del totale - si è acuita in modo palese con l'arresto di migliaia di prigionieri politici e il prodursi di eventi sanguinosi, come la morte di trenta manifestanti a Al Qamishli nel 2004.

Nel luglio del 2012, il Partito dell'unione democratica (PYD) - braccio politico del PKK in Siria - e la sua milizia armata (le Unità di protezione popolare, YPG) hanno preso il controllo di alcune regioni a maggioranza curda nel nord del paese e dei quartieri curdi di Aleppo, dopo il ritiro delle truppe di regime. Il ripiegamento tattico del governo di Bashar Al Assad aveva un doppio obiettivo: concentrare i propri effettivi militari nella battaglia di Aleppo e fare pressione su una Turchia impegnata in un braccio di ferro con il PKK dal 1984 e che offre un appoggio attivo all'opposizione siriana.

Alcuni analisti hanno segnalato che la cessione dei territori al PYD era in realtà dovuta ad un patto siglato tra il regime e la formazione curda, cosa che il presidente della formazione Salih Mouslim ha sempre negato in modo categorico:

"Non siamo alleati del regime. Siamo partigiani della rivoluzione ma rifiutiamo di unirci alla Coalizione nazionale siriana, perché la strumentalizzazione storica dei curdi per fini nazionalistici in Turchia e Iran ci ha già riservato brutte esperienze. Non vogliamo essere utilizzati per poi sentirci dire in seguito che la riconoscenza del popolo curdo come parte della nazione siriana sarà rifiutata".

Di fronte all'alternativa tra unirsi alla coalizione - con la sua agenda marcatamente araba e islamista, appoggiata dalla Turchia - o continuare ad essere fedeli a Damasco con tutti i suoi antecedenti repressivi, i curdi siriani hanno scelto di proclamare un'autonomia de facto e di gestire la loro rivoluzione.

La strutturazione dell'autogoverno da parte del PYD non è stata eccessivamente complessa, poiché la formazione presenta un capillare ingranaggio organizzativo e una certa esperienza risalente all'epoca di Hafez Al Assad. In più il PYD ha mantenuto le strutture amministrative esistenti, e i funzionari statali che lavoravano per Damasco ora lo fanno per la nuova amministrazione.

Sebbene il 50% della società curda lo sostenga e sebbene disponga della principale milizia armata, il PYD è cosciente che per gestire la rivoluzione nelle regioni a maggioranza curda, per rafforzare la lotta per il riconoscimento nazionale e veder garantiti i propri diritti - in una futura costituzione siriana - è necessario un consenso con le altre formazioni politiche curde. Per questo ha firmato, nel luglio del 2012, il patto di Erbil.


Consiglio supremo curdo

Nonostante le forti divergenze dall'inizio della rivolta, il Presidente del governo regionale del Kurdistan iracheno Massoud Barzani è riuscito a far sì che le due principali fazioni curde di Siria - il Consiglio nazionale curdo (CNK), formato da 16 partiti vicini a Barzani e a Jalal Talabani, e il PYD - arrivassero ad un accordo storico ad Erbil, con la creazione del Consiglio supremo curdo (CSK). Questo organo, che nella pratica è una sorta di governo di unità nazionale, sta gestendo l'autonomia e sopperisce alla mancanza di un vero esecutivo.

Il CSK è composto da comitati incaricati degli affari nazionali, stranieri, dei servizi pubblici e della sicurezza, formati a loro volta da cinque membri di entrambe le formazioni politiche e presenti con delegazioni in tutte le circoscrizioni e villaggi della regione. Fino a questo momento, l'autogoverno ha interessato le aree di Afrin, Kobani, Girke Legue, Dirbesiye e Derik, mentre ad Al Qamishli - storica capitale del Kurdistan siriano - vi è una coabitazione difficile e assai tesa con il governo di Damasco.

La messa in moto del CSK si è rivelata però fitta di ostacoli, a causa delle forti divisioni tra PYD e CNK affiliate a due diverse tendenze dell'opposizione a Bashar Al Assad (il primo è legato al Coordinamento delle forze per il cambiamento democratico, il secondo alla Coalizione nazionale siriana). Alcuni rappresentanti curdi della coalizione denunciano l'accaparramento di tutti i poteri di governo da parte del PYD. Affermano che la polizia e gli altri corpi di protezione popolare sono formati unicamente dai membri del partito di Salih Mouslim. Dal canto suo, il PYD accusa queste formazioni di essere sostenute dalla Turchia e di essere implicate negli scontri di Ashrafiyeh e Shaikh Maqsoud, quartiere a maggioranza curda di Aleppo, e nei combattimenti di Ras al-Ain che hanno visto opporsi milizie islamiste e curde (legate alle YPG).

Anche sul terreno si è riscontrata questa mancanza di unione, ad esempio, nel settore dell'insegnamento, molto politicizzato. Sono i partiti a gestire i centri educativi, che portano immancabilmente ad un elevato livello di indottrinamento. Tra l'altro proprio l'insegnamento del curdo nelle scuole e l'affissione di nuove insegne di segnalazione in lingua locale sono stati tra i primi provvedimenti adottati dal CSK.

Tuttavia, malgrado la scarsa coesione e i regolamenti di conti che si sono prodotti, la paura di un conflitto civile tra curdi è riuscita a ridurre le divergenze tra molte delle fazioni riunite nel Consiglio supremo e a far sì che i rappresentanti iniziassero a remare nella stessa direzione. Dal luglio 2012, Massoud Barzani ha presieduto diversi incontri ad Erbil con l'obiettivo di salvaguardare il CSK e di risolvere il principale punto di disaccordo tra le varie tendenze: la gestione della sicurezza.

Le unità di protezione popolare (YPG) - composte da circa 30 mila effettivi tra cui numerose donne - e l'asays (polizia) sono sotto il controllo del PYD, situazione che genera malcontento tra le altre formazioni curde. Barzani ha tentato più volte di favorire la creazione di milizie autonome, leali esclusivamente al CSK, ma il Partito dell'unione democratica è sempre riuscito ad impedirlo. La formazione di Salih Mouslim dichiara che le porte delle YPG sono aperte a tutti i curdi e preme affinché tutti gli altri partiti serrino i ranghi attorno a questa milizia [la più numerosa e la meglio organizzata, ndt]. Una debole risposta si è avuta. Nell'aprile scorso la formazione Yekiti è stata la prima forza del CNK ad unirsi alle YPG. L'obiettivo prioritario dell'autogoverno curdo in materia di sicurezza - almeno fino ad ora - resta quello di evitare che i combattimenti tra l'esercito di Damasco e i ribelli si propaghino sul suo territorio.


L'influenza del processo di pace in Turchia

Dall'inizio del conflitto il PYD ha puntato su una teorica neutralità, trovandosi comunque a fronteggiare tanto il regime quanto l'Esercito siriano libero (ESL) e i gruppi islamisti. Il primo grande scontro con l'ESL si è prodotto nell'ottobre del 2012 a Qestel Cendo, località vicina al passaggio di frontiera di Bab al-Salam (Azaz), e nei quartieri a maggioranza curda di Aleppo.

A Qestel Cendo le YPG hanno respinto un attacco delle brigate Asefat al-Shamel (Tempesta del nord) che controlla il passaggio di Azaz. Ad Aleppo invece l'ESL ha cercato di penetrare nei quartieri curdi per colpire le forze del regime da posizioni più favorevoli, ma si è trovato di fronte la resistenza delle milizie del PYD. Il partito curdo e il fronte ribelle hanno poi siglato un patto di non aggressione che ha messo fine alle continue scaramucce.

Il partito di Salih Mouslim ha sempre accusato Ankara di offrire appoggio economico e logistico ai gruppi che agiscono sotto l'ombrello dell'ESL. La formazione ha anche affrontato a due riprese alcuni gruppi islamisti nella zona frontaliera di Ras al-Ain. Nel novembre 2012 e nel febbraio 2013 Jabhat al-Nusra e la brigata Ghouraba al-Sham hanno combattuto contro le milizie del PYD per il controllo della città. Alla fine, un comitato di saggi a composizione mista (arabo-curda) ha ristabilito la calma ed ha assunto il governo della zona.

Da allora qualcosa sembra essere cambiato. Dopo che il leader del PKK Abdullah Ocalan ha annunciato lo scorso 21 marzo - in occasione della celebrazione del nuovo anno curdo (Newroz) - un cessate-il-fuoco con Ankara e il ritiro temporaneo della guerriglia curda, si è prodotto un avvicinamento sensibile tra le posizioni del PYD e l'opposizione siriana.

In campo militare, le YPG e l'ESL combattono in maniera congiunta ad Aleppo contro il regime di Al Assad dallo scorso aprile, poco dopo l'annuncio di Ocalan. Sebbene il Partito dell'unione democratica neghi di aver stretto un'alleanza tattica con i ribelli, la realtà è che dopo l'annuncio del cessate-il-fuoco in Turchia le relazioni tra le formazioni curde siriane e l'esercito libero guidato da Salim Idris sono nettamente migliorate. Con la tregua poi, è possibile che un certo numero di miliziani del PKK raggiungano il territorio siriano per integrare i ranghi delle YPG e aumentare la loro capacità militare.

Qualche risultato si è già visto. Nella provincia di Al Hasakah le unità per la protezione popolare hanno espulso in svariate località le forze del regime, ottenendo così il controllo della raffineria di Roumelan. Secondo le stime del PYD, il 60% del greggio prodotto in Siria sarebbe ormai sotto il loro controllo.

Sul piano politico, l'avvio del processo di pace in Turchia sta avendo un impatto sulle relazioni tra le componenti dell'opposizione. Se i partiti riuniti nel CNK sono da sempre membri della Coalizione nazionale siriana, il PYD si era sempre dimostrato recalcitrante a farvi il suo ingresso, a causa delle posizioni troppo vaghe e poco rassicuranti sul futuro riconoscimento dei curdi. Ma, ultimamente, si sono tenute alcune riunioni tra la formazione di Mouslim ed i rappresentanti della coalizione per dibattere sulla questione della futura organizzazione dello Stato e per trovare un punto di intesa sulla domanda di decentralizzazione portata avanti dalla componente curda.

Anche il ministro degli Affari Esteri turco Ahmed Davutoglu è intervenuto per spingere il PYD ad una conciliazione con i ribelli, avanzando l'ipotesi di un parziale autogoverno nel nuovo Stato per i curdi di Siria. Dietro questo avvicinamento tra Ankara e la formazione curda ci sarebbe l'interesse turco alla creazione di una buffer zone nel nord del paese vicino, come nel caso della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.

Del resto, in caso di una fine delle ostilità in Siria, gli analisti prevedono uno scenario animato da forti tensioni settarie, come successo in Irak dopo la guerra del 2003. Un'autonomia curda nella zona nord del paese potrebbe fungere da valvola di sicurezza tra il territorio turco e le regioni arabe siriane. Non a caso la repubblica turca e il governo regionale del Kurdistan iracheno guidato da Barzani intrattengono già eccellenti relazioni commerciali e un simile modello per i curdi di Siria potrebbe offrire nuove opportunità per Ankara.

Sono anni ormai che il PKK e le organizzazioni a lui vicine hanno abbandonato l'idea di un Kurdistan indipendente e la loro strategia politica e militare punta sempre di più al conseguimento di autogoverni locali e all'instaurazione di un macrosistema confederale, che possa garantire solide relazioni tra le differenti regioni. In questa ottica il fattore curdo giocherà senza dubbio un ruolo di primo piano nell'evoluzione del conflitto siriano e nella configurazione del nuovo paesaggio geopolitico mediorientale.

(traduzione pubblicata su Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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