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sabato 11 maggio 2013

Marocco-Francia. "Relazioni incestuose" sotto i palmeti di Marrakech

"Gli interessi e i legami in ballo sono molteplici, si tratta di una rete abilmente tessuta da entrambe le parti che si regge su una sorta di do ut des. Agevolazioni economiche, affari, in cambio di appoggio politico". Intervista al giornalista marocchino Ali Amar, che racconta la storia di una decolonizzazione mai realmente avvenuta, di "un'indipendenza nell'interdipendenza".



La visita di Francois Hollande in Marocco qualche settimana fa, la prima ufficiale da Presidente della Repubblica, non ha riservato particolari sorprese. Più dimessa nei toni rispetto a quelle del suo predecessore Sarkozy, nonostante il consueto sfarzo dell'accoglienza monarchica, è rimasta nei confini del protocollo.

Chi si aspettava che il cambio di inquilino all'Eliseo presupponesse una revisione delle relazioni privilegiate tra Parigi e Rabat è rimasto deluso. Destra o sinistra, in diplomazia, la Francia resta un'adepta fedele della realpolitik, preferisce parlare di affari piuttosto che di diritti umani.

Nessun segnale di rottura. Hollande, accompagnato da una cinquantina di imprenditori, si è guardato bene dal sollevare questioni 'scomode' per le autorità di Rabat (nonostante alcuni appelli al riguardo, tra cui quello di Human Rights Watch).

Nessun accenno, dunque, alla repressione dei movimenti di contestazione, siano essi di natura sociale o politica, né allo sciopero della fame avviato dai detenuti politici e nemmeno agli attacchi ripetuti alla libertà di espressione.

Il Presidente si è felicitato di fronte al Parlamento locale dei "passi decisivi compiuti verso la democrazia", ha ribadito la credibilità del progetto di autonomia per il Sahara presentato da Rabat e ha lodato "la volontà riformatrice del re Mohammed VI", lo stesso che ha onorato la firma di nuovi contratti commerciali - nuove commesse per l'industria francese - a margine della visita.

Hollande ha anche dichiarato che il Marocco si sta affermando come "un paese di stabilità e di serenità", dimenticando - forse - il 30% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà e che la (relativa) stabilità dimostrata durante le turbolenze della primavera regionale è stata in parte comprata con l'aumento della spesa pubblica per la sovvenzione dei prodotti di base, una scelta che ha rapidamente aggravato la crisi di bilancio del regno e che potrebbe scatenare un nuovo, ben più consistente, malcontento.

Insomma, niente di nuovo sotto il sole (franco-marocchino). La continuità sembra assicurata, come conferma il giornalista Ali Amar, autore assieme al collega Jean-Pierre Tuquoi del libro Paris-Marrakech. Luxe, pouvoir et réseaux (Calmann-Lévy, 2012), opera incentrata sulle reti di potere e i traffici di influenze tra le due sponde del Mediterraneo.

Amar, che abbiamo intervistato per scavare più a fondo sui legami particolari che uniscono l'ex colonia a Parigi, è stato tra i fondatori del settimanale Le journal hebdomadaire, rivista indipendente nota per la sua 'mancanza di riguardi' nei confronti del regime e costretta alla chiusura nel 2010 in seguito ad una dura campagna di boicottaggio pubblicitario. Da allora tutti i beni del giornalista sono finiti sotto sequestro, compresi i conti bancari. Attualmente vive a Lubiana dove beneficia di un programma di assistenza biennale per scrittori e intellettuali perseguitati in patria (International Cities of Refuge Network).

Ali Amar è anche autore di Mohammed VI. Le grand malentendu (Calmann-Lévy, 2009) - libro vietato nei confini del regno - in cui ripercorre con occhio critico i primi dieci anni dall'ascesa al trono del giovane sovrano e la sua 'politica di riforme' celebrata tanto in Marocco che all'estero, in primis dai fedeli amici francesi.

  

Partiamo dal suo caso personale. Quello di un giornalista impegnato, un oppositore del regime, che dopo le vicissitudini patite in patria trova finalmente una tribuna pronta ad accoglierlo, un sito di informazione francese (Slate Afrique). Improvvisamente però, dopo due anni di collaborazione, la sua non è più una firma preziosa ma una presenza ingombrante, scomoda, e viene licenziato in malo modo (come conferma un articolo pubblicato su Mediapart). Quanto ha a che fare tutto questo con l'argomento della nostra intervista?

Prima di tutto, ci tengo a sottolineare che la mia relazione personale con la Francia è iniziata presto, ho studiato nelle scuole della Repubblica fin dalle elementari e la considero la mia seconda patria, soprattutto in termini di formazione intellettuale. Scrivere per un giornale francese, dopo i problemi avuti in Marocco, lo consideravo un modo per continuare con serenità il mio lavoro di inchiesta. Lo credevo un riparo dove fosse possibile esprimersi liberamente, da cui far sentire la mia opinione dissonante.

Evidentemente mi sbagliavo, non avendo fatto i conti con la mole e la profondità degli interessi incrociati tra Rabat e Parigi. Il mio licenziamento da Slate non è dovuto a mancanze professionali, come qualcuno ha voluto far credere, ma alle pressioni dei finanziatori sulla direzione (in crisi economica e in cerca di ossigeno in Marocco), un fatto che dimostra fino a dove l'influenza delle lobby franco-marocchine può arrivare. Una situazione incomparabile con altre realtà post-coloniali. Anche gli inglesi mantengono legami particolari con le ex-colonie del Commonwealth, la regina conserva una sorta di autorità morale sul Canada o sull'Australia, ma nel nostro caso siamo ben al di là. Come scrivo nel mio libro ci sono relazioni incestuose tra le elite marocchine e quelle francesi.


Da questo punto di vista, la visita di Hollande non sembra aver portato novità su quello che lei descrive come l' "asse Parigi-Marrakech"..

Direi di no. Alla base di questa visita non c'erano nodi da sciogliere né imperativi impellenti, se non ribadire che il nuovo Presidente non avrebbe messo in discussione la continuità e la tipologia dei rapporti più che privilegiati storicamente intrattenuti. Anche gli accordi economici siglati erano già stati preparati e discussi in una serie di incontri precedenti.

Hollande tuttavia non è (ancora) un habitué dei voli Parigi-Marrakech, di questa forma di corruzione delle elite politiche, economiche e culturali. Inoltre ha un ascendente manifesto per l'Algeria, alleata del Fronte Polisario, e il fatto che la sua prima visita ufficiale all'estero sia stata fatta ad Algeri ha dato fastidio a Palazzo, sempre attento a questo tipo di formalità. Serviva una risposta. Il Marocco aveva bisogno di sentirsi ancora il figlio prediletto della Francia, di non perdere questa particolare leadership nella regione.


Quali sono gli interessi su cui si fondano questi rapporti "più che privilegiati"?

Gli interessi e i legami in ballo sono molteplici, si tratta di una rete abilmente tessuta da entrambe le parti che si regge - alla base - su una sorta di do ut des. Agevolazioni economiche, affari, in cambio di appoggio politico. Dal punto di vista marocchino, il discorso potrebbe essere sintetizzato in questo modo: "noi vi diamo tutti i vantaggi qui, come una terra promessa, e in contropartita la diplomazia francese appoggia incondizionatamente il regime".

Ecco allora che la Francia è il primo fornitore di capitali e il primo beneficiario dei mercati marocchini, una sorta di piscina in cui tuffarsi senza timori per le grandi compagnie quotate in borsa (CAC 40), mentre gli scambi commerciali tra i due paesi hanno rappresentato un quinto del volume totale negli ultimi dieci anni.

Sul versante opposto, Parigi si è fatta portavoce della 'marocchinità' del Sahara Occidentale e strenua sostenitrice di questa politica al Consiglio di sicurezza dell'ONU. Sarkozy si è impegnato a fondo affinché il regno alawita ottenesse lo 'statuto avanzato' nel partenariato con l'Unione europea (sinonimo di prestiti a tasso ridotto e accesso facilitato ai mercati europei), nonostante le resistenze dei paesi scandinavi, intransigenti sul rispetto dei diritti umani. Eliseo e Quai d'Orsay (Ministero Esteri) si sono adoperati in ogni modo per promuovere il miraggio della "democrazia marocchina" e le "riforme di un re visionario".

In questo senso, il discorso pronunciato da Hollande di fronte al Parlamento di Rabat si inscrive nella continuità di cui parlavamo prima. Nessuna menzione alle violazioni seguite alla primavera locale, gli abusi e le torture sui prigionieri denunciate su scala internazionale. Soltanto adulazione, mentre lo stesso Hollande, nella riunione che si tiene ogni anno con gli ambasciatori, aveva affermato: "dirò sempre tutto, dappertutto". Sembra piuttosto che dica quello che l'uditorio del momento si aspetti che dica. Ad Algeri aveva fatto lo stesso.

Per concludere riguardo agli interessi in gioco, c'è poi la questione dell'ingerenza marocchina, attraverso le donazioni e le influenze monarchiche, nell'islam di Francia (finanziamento associazioni, costruzione moschee, nomina imam). Una consuetudine ormai consolidata che non piace al Ministero dell'Interno ma di cui si parla poco, essendo tollerata e tenuta ben nascosta dai riflettori.


La candidatura di Hollande all'Eliseo aveva suscitato non pochi timori sul versante marocchino. Timori ingiustificati, alla luce dei fatti…

Sì, pur essendo ancora prematuro dare un giudizio definitivo. A spaventare la controparte marocchina, oltre al debole algerino manifestato da Hollande, era l'assenza di legami 'personali' con questa figura. Chirac era considerato uno di famiglia in Marocco, Sarkozy si è guadagnato la nomea di 'miglior amico' di Mohammed VI.

Pur tenendo presente la sostanziale preferenza per gli esponenti della destra francese, il candidato ideale del Partito socialista agli occhi dell'élite marocchina - nonché il più quotato alla vittoria finale prima di essere sommerso dagli scandali - era Dominique Strauss-Kahn, un 'figlio di Agadir' e un assiduo frequentatore dei salotti del regno.

Con Hollande, invece, erano i fantasmi della prima gestione Mitterand a risorgere. Ma se Hollande, come accennavo prima, non è un habitué dei voli Parigi-Marrakech, gran parte del suo entourage sì. Tra gli amici di Palazzo, spiccano su tutti i nomi dei ministri Najat Vallaud-Belkacem (anche portavoce del governo) e Manuel Valls. Quanto basta per stare tranquilli.


In uno dei suoi ultimi articoli - "Ce que Mohammed VI doit au maréchal Lyautey" - lei parla di come il Protettorato francese abbia favorito la strutturazione del regime marocchino attuale. E' qui l'origine dell' "incesto"?

Sì. Ha avuto inizio quasi per caso, con l'arrivo in Marocco del primo Residente generale (vertice militare e civile del Protettorato, nda). Lyautey aveva capito che la Francia, nella conduzione degli affari coloniali, non doveva ripetere gli errori commessi in Algeria. Del resto lui stesso era un monarchiste, espressione della Francia dell'ordine e dei vecchi valori aristocratici.

In Marocco ha sublimato il sultanato dell'epoca, che non era ben saldo su tutto il territorio oggi conosciuto, e ha inaugurato la strategia di cooptazione delle elite locali ancora vitale per il Palazzo. E' riuscito a duplicare l'impianto amministrativo, centralizzato, di stampo francese, a cui poi ha affiancato il fasto e il decoro delle monarchie di ancien regime, oltre alla sacralità e alla ritualità dei primi imperi islamici.

In altre parole, Lyautey ha gettato le basi per la formattazione di un regime a metà tra modernità e rigido tradizionalismo, un modello unico nel mondo, forse paragonabile solo a quello degli Shogun giapponesi.

Allo stesso tempo, ha inserito il retrovirus che lega il Marocco al 'territorio metropolitano'. Già sotto il Protettorato era iniziata la formazione delle elite nelle scuole francesi, una pratica che prosegue ancora oggi. Mentre, all'epoca dei negoziati di Aix-les-Bains (1955), si parlava apertamente di una "indipendenza nell'interdipendenza". Terminologia in seguito accantonata per esigenze di nazionalismo ufficiale. Ma se andiamo a Casablanca ci accorgiamo che la statua di Lyautey non è stata abbattuta, solo leggermente spostata dal centro della piazza principale.

La doppia identità e i legami sono rimasti intatti, nonostante le piccole crisi che si sono avute tra Rabat e la Repubblica. Il Marocco non ha mai rotto il cordone ombelicale, nemmeno in termini di strutture economiche e resta una 'riserva protetta'. Le terre espropriate durante il periodo coloniale non sono tornate ai legittimi proprietari ma alla monarchia, che le distribuisce come fonti di rendita ai suoi fedelissimi. La holding del sovrano (ONA, Omnium Nordafricain), che oggi controlla i settori strategici dell'economia nazionale, era all'inizio un insieme delle vecchie compagnie francesi sotto il Protettorato.


Ci descriva meglio come funziona oggi questa "riserva protetta", se possibile facendo qualche esempio…

Stilare una lista completa di tutte le imprese francesi insediate in Marocco, o che beneficiano di contratti importanti, è un compito arduo. Le compagnie del CAC 40 costituiscono senz'altro il nocciolo duro, seguite da uno sciame di piccole e medie imprese concentrate soprattutto nei rami dell'informatica e dei call center.

Per fare dei nomi, Safran domina il mercato delle forniture aeronautiche, Renault è la sola a costruire automobili nel regno, Lafarge è il primo cementificio, Veolia e GDF Suez si sono accaparrate i servizi nelle principali città, Alstom il tram di Rabat e di Casablanca…

In generale, sono pochi i grandi progetti che si realizzano senza 'l'accompagnamento' francese. E a fare da apripista è spesso l'organo preposto alla cooperazione governativa, l'Agence française de developpement (AFD), che distribuisce i fondi per lo sviluppo.

Questi 'aiuti economici' (prestiti a lunga scadenza e a tassi di interesse vantaggiosi), che hanno permesso al Marocco di avviare la politica dei 'grandi cantieri', si trasformano poi in mercati, assegnati alle industrie francesi senza il rispetto delle regole di trasparenza. Vale a dire che il Marocco acquista infrastrutture dalla Francia con i soldi presi in prestito dalla Francia stessa. L'esempio più eclatante è quello del TGV, su cui mi soffermo a lungo nel libro dato il risvolto politico, non solo economico, che ha assunto.

Per essere ancora più chiari, imprese come SNCF, Vivendi, Bouygues, Veolia, Alstom, vengono ricevute direttamente a Palazzo o passano attraverso intermediari di fiducia. E' in questo modo che avviene l'attribuzione del mercato, della commessa, non attraverso l'apertura di un d'appalto.

Un altro esempio delle svariate forme di facilitazioni, o corruzione, concesse nella 'riserva protetta'. In passato l'impresa Accor, che dispone di numerose filiali nel settore del turismo di lusso, ha beneficiato di sconti speciali per l'acquisto dei terreni su cui ha costruito i suoi impianti.

La stessa holding reale era solita associarsi a queste società, prima di ridefinire le partnership commerciali e dar sfogo alla sua voracità.


In effetti non ci sono solo "esperienze positive". Qualche problemino si è pur verificato negli ultimi anni per alcune aziende francesi installate in Marocco…

Il caso emblematico è quello della catena di supermercati Auchan, associata al palazzo reale via la holding ONA e partner al 50-50 in un progetto di grande distribuzione (Marjane). Ma l'esempio è sui generis, c'è un elemento che molte volte viene perso di vista. Auchan non è espressione dell'asse Parigi-Marrakech, o meglio Parigi-Rabat. Si tratta di un'impresa non quotata in borsa, a carattere familiare e ad iniziale radicamento provinciale, prima del boom. Per questo il suo siluramento, a vantaggio dell'ONA, non ha suscitato troppo scandalo nella sponda nord. Altri casi invece (Axa, Danone..) hanno richiesto arbitrati ufficiosi a corte, piccole crisi che non hanno però intaccato la relazione tra i due partner.

L'essenziale è il rispetto della regola aurea: "i profitti sono facili e consistenti a patto di non fare ombra agli interessi di Palazzo", come ricordano i documenti pubblicati da Wikileaks. I cabli confermano l'aspetto cannibalesco, predatore - per riprendere la definizione di due amici e colleghi (C. Graciet e E. Laurent, Le roi prédateur, Seuil, 2012) - dell'affarismo monarchico e il carattere mafioso del sistema economico marocchino.


Marrakech. E' qui che si apre e si chiude il suo libro, è la città ocra l'emblema delle "relazioni incestuose". Perché?

Per prima cosa, Marrakech è il simbolo di un esotismo radicato nell'immaginario francese - i palmeti, le oasi, uno scenario orientalista alla Laurence d'Arabia - un esotismo lontano alla fine vicino, se si pensa che la città è a solo 3 ore di volo da Parigi.

Già Churchill, ad inizio del secolo scorso, ne parlava come della "Parigi del deserto". La nuova forma di delocalizzazione rituale da parte delle elite politiche francesi - oltre alle orde di turisti, uno su cinque in media, in arrivo dall'Esagono - l'hanno poi trasformata nel 22° arrondissement della capitale - 'Marrakech-sur-Seine' - tanto sono pregnanti gli sviluppi politici ed economici che vengono decisi nei suoi lussuosi palazzi (Mamounia, Royal Mansour, Es Saadi) e nei riad messi a disposizione da Mohammed VI o da altri personaggi di corte.

Riunioni, festeggiamenti, vere e proprie migrazioni - soprattutto in periodo invernale - dei più alti rappresentanti della classe politica, dei media, dello spettacolo. Sembra quasi si tratti di un circolo di iniziati. E' qui che gli altolocati "amici del Marocco" ricevono le loro gratificazioni o vengono a trascorrere le loro pensioni dorate.

Ma l'afflusso non si limita solo ad affarismo, disegni politici o vacanze da sogno. Marrakech assume i toni, purtroppo, della nuova Sodoma, la città in cui tutti gli eccessi - non solo i piaceri - sono concessi. I casi recensiti - sfruttamento della prostituzione, pedofilia - sono numerosi, come pure i reportage in materia. Casi che spesso coinvolgono personaggi di rilievo e che, nonostante il clamore mediatico, rimangono impuniti.


Lei ha parlato più volte di "amici del Marocco", lobby franco-marocchine, reti clientelari. Quali sono queste reti e qual è il loro peso?

Si parla molto del peso delle lobby israeliane nella politica internazionale statunitense, nelle decisioni adottate dal Congresso e nell'elezione dei presidenti. Ebbene, la lobby più potente insediatasi a bordo Senna è quella franco-marocchina, che non ha nulla da invidiare ai colleghi d'oltre oceano.

Si tratta di una rete radicata su piani e livelli differenti, e anche qui è quasi impossibile tracciare un quadro dai contorni completi. All'interno vi sono figure di primo piano nate e/o cresciute in Marocco, con cui conservano legami di intimità e che hanno un attaccamento sincero, probabilmente naif, a questa terra. Ci sono poi i club ufficiali di "amicizia Francia-Marocco" - molto affollati quelli all'Assemblea nazionale e al Senato - vere e proprie macchine di propaganda che sostengono attivamente la retorica ufficiale del regime. Organizzano incontri, conferenze e cerimonie, supportate dall'ambasciata marocchina a Parigi, per promuovere l'immagine del regno e la posizione di Rabat sul dossier Sahara Occidentale.

Ma il corteggiamento, che sfiora la bassa compravendita di coscienze, non riguarda solo la scena politica. Professori universitari, giornalisti, personaggi della cultura, vedette dello spettacolo, si contano a decine le figure insignite del Wissam alawita (la più alta distinzione, per i servizi offerti, concessa dal Marocco) o altro genere di ricompense. Ci sono poi i finanziamenti elargiti a centri di ricerca e fantomatici think tank, che emettono a comando pareri e analisi gradite..la lista è lunga.


In che modo la crisi economica marocchina e la vittoria alle ultime elezioni del partito islamico PJD incideranno sul futuro dell'asse Parigi-Marrakech?

Il Marocco si trova davanti ad una crisi economica strutturale, questo significa che prima o poi sarà obbligato a rivedere le condizioni "speciali" in cui maturano i partenariati, ad aprire veramente il suo sistema economico alla competitività e a rivedere le scelte strategiche. Ad esempio la politica dei grandi cantieri, le 'grandi cattedrali nel deserto' che tanto stanno fruttando all'industria pesante francese. La 'riserva protetta' potrebbe gradualmente estinguersi, tanto che la Spagna ha già superato la Francia nel 2012 per volume di scambi (esclusivamente) commerciali.

La vittoria del PJD alle elezioni, invece, non avrà incidenze in sé, visto il peso marginale che il Parlamento e gli attori della rappresentanza politica hanno in questo genere di relazioni. Il primo esempio è ancora una volta il TGV, giudicato inutile e non prioritario da alcuni esponenti del PJD prima dell'accesso al governo, ma mai rimesso in discussione al momento dell'approvazione del budget di spesa.

C'erano state inquietudini a Parigi subito dopo il voto, come nel caso marocchino per l'elezione di Hollande, ma la parabola del PJD offriva da sola sufficienti garanzie. Certo è un partito islamista, ha idee conservatrici, ma come attore politico è una pura creazione del makhzen (regime, nda) sotto Hassan II.

La speranza invece - nutrita da quei cittadini che l'hanno votato - che riuscisse ad apportare una moralizzazione e un senso dell'etica nella vita pubblica (quindi anche politica ed economica), è morte ancor prima che venisse formato il governo. E' morta quando il sovrano ha formalizzato l'esistenza di un gabinetto reale - in cui ad ogni ministro corrisponde più o meno un consigliere monarchico - che riveste le vere funzioni esecutive del paese, mentre gli strumenti rappresentativi servono solo da cassa di risonanza per le decisioni prese altrove.

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