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martedì 20 novembre 2012

Marocco: crisi e austerità, ma non per Mohammed VI

La manovra economica per il 2013 è al vaglio del Parlamento. I tagli e le ristrettezze annunciate dal governo non toccheranno il budget di spesa previsto per il sovrano, che già gode di un'ottima salute finanziaria. Intanto alcuni dissidenti rompono il tabù e manifestano contro la "depredazione di Palazzo", ma le autorità reprimono.



Domenica 18 novembre a Rabat le forze di sicurezza marocchine hanno impedito con la violenza lo svolgimento di una manifestazione indetta dal Movimento 20 febbraio per reclamare, data la dura crisi economica che sta investendo il regno alawita, la riduzione del budget statale assegnato annualmente al monarca e alla sua corte.

Il budget in questione ammonta a 2.576.769.000 dirham (ossia 232.980.922 euro) - stando al capitolo di spesa riservatogli nella legge finanziaria - ed è rimasto invariato rispetto all'anno precedente, nonostante la crescita del deficit di bilancio e la spirale dell'indebitamento che sta risucchiando il paese.

I crediti concessi dalle banche e dagli organismi internazionali serviranno infatti a coprire circa il 30% della manovra, mentre le misure di austerità annunciate dall'esecutivo porteranno ad una severa revisione della caisse de compensantion (sistema di sovvenzioni ai prodotti di prima necessità), già anticipata nei mesi scorsi dal rincaro del carburante.

Intanto la disoccupazione giovanile è in aumento - oltre il 30% secondo uno studio recente diffuso dalla Banca mondiale - la pressione dei diplomés-chomeurs (laureati-disoccupati, nda) nelle strade della capitale è costante e i tagli alla spesa pubblica sembrano colpire, seppur in maniera irrisoria, esclusivamente quei ministeri che dovrebbero farsi carico del problema (Ministero della Gioventù, dell'Impiego, dell'Educazione e della Cultura).

Le casse dello Stato sono in rosso e la popolazione è sempre più in difficoltà, allora perché - si domandano i membri del "20 febbraio" - continuare a versare nelle tasche del sovrano circa 700 mila euro al giorno?

Tanto più che, ricordano i giornalisti Eric Laurent et Catherine Graciet (Le roi prédateur, Seuil, 2012), questa dotazione si fa carico anche dei costi di mantenimento e funzionamento di palazzi reali e residenze private, comprende le spese per il rinnovo annuale del lussuoso parco auto (Aston Martin, Ferrari) e del guardaroba del monarca (circa 2 milioni di euro nel 2010, secondo i due giornalisti).

"Siamo qui per denunciare la politica dei due pesi due misure del governo, che invita i cittadini a stringere la cintura, ma non fa una mossa quando si tratta di confermare le sontuose spese di Palazzo che gravano sul bilancio pubblico", dichiarava un attivista in marcia lungo viale Mohammed V - nel cuore della capitale - prima di raggiungere il luogo fissato per il sit-in.

La "lista civile" dietro cui si nasconde la sovvenzione alla monarchia - è questa l'espressione utilizzata nell'art. 45 della costituzione che l'autorizza - dovrebbe essere oggetto di discussione in Parlamento e di controllo della Corte dei conti, come del resto ogni altro capitolo di spesa della finanziaria. Ciò significa che qualsiasi deputato in disaccordo con il provvedimento dispone, in teoria, della facoltà di votare contro, secondo la propria coscienza.

Questo in teoria, ma la realtà è diversa. La prassi consolidatasi nel tempo prevede infatti che tutti gli eletti in Parlamento - di ogni tendenza politica - rinnovino ogni anno, senza discussioni e all'unanimità, il budget assegnato al sovrano (e da lui stesso proposto), considerato una "linea rossa" invalicabile. "Di solito non osiamo nemmeno pronunciare il termine 'budget reale' al momento del dibattito sulla manovra economica", confidava al settimanale Tel Quel un deputato rimasto anonimo.

Proprio di fronte al Parlamento - "il simbolo della democrazia di facciata calata sul paese", continuava il nostro interlocutore - si sarebbe dovuta tenere la manifestazione di protesta convocata dal movimento dissidente. Il condizionale, ancora una volta, è d'obbligo dal momento che le forze di polizia sono intervenute con violenza (fisica e verbale) fin dall'arrivo delle prime decine di attivisti, impedendo lo svolgimento dell'iniziativa.

Wak wak âla chouha, mizania klitouha ("Vergogna, ti stai divorando il budget"), lo slogan lanciato dai primi ad accorrere in viale Mohammed V. Insulti - anche all'indirizzo dei giornalisti presenti, tra cui i corrispondenti delle agenzie Reuters ed Efe - e manganelli la risposta delle autorità (tre i feriti ricoverati in ospedale), che si è accanita particolarmente su due storiche figure del movimento progressista, Khadija Ryadi e Abdelhamid Amine (rispettivamente presidente e vice-presidente dell'Associazione marocchina per i diritti umani), e sul giovane Hamza Mahfoud (già oggetto di trattamenti particolari durante le proteste dei mesi scorsi).

Il "20 febbraio", nonostante l'indiscutibile indebolimento e la repressione a cui deve far fronte, è così tornato a far sentire la propria voce e a rilanciare la sua lotta per il cambiamento democratico, la dignità e per l'attuazione di una giustizia sociale in Marocco, di cui da quasi due anni si è fatto portavoce. Certo i numeri e la pressione esercitata non sono paragonabili a quelli del 2011, ma un'azione diretta contro la figura del sovrano come quella intentata ieri sarebbe stata impensabile prima dell'inizio della "primavera" locale.


Re dei poveri o re degli affari?

Il budget statale assegnato al monarca ha un'incidenza media dell'1/2% sulla manovra annuale complessiva. Considerato da questo punto di vista, potrebbe apparire poca cosa agli osservatori meno attenti. Tuttavia, se paragonato ad altri esempi conformi la prospettiva cambia.

Ahmed Benseddik, un tecnocrate uscito dalle grazie del Palazzo dopo aver denunciato la corruzione nelle alte sfere di potere, ha fornito un anno fa alcuni dati interessanti in materia. L'ex funzionario ha messo a confronto la dotazione reale marocchina con quella della presidenza francese e della monarchia spagnola. Risultato, il budget alawita è di due volte superiore a quello dell'Eliseo e di 12 volte e mezzo quello borbonico, numeri che diventano più eloquenti se rapportati al PIL dei rispettivi paesi: il costo pubblico del sovrano di Rabat diventa in questo caso 248 volte più alto di quello dell'omologo iberico e sessanta volte superiore a quello del Capo di Stato francese.

Le critiche sollevate dagli attivisti nei confronti della "voracità" di Mohammed VI non riguardano soltanto l'ingente allocazione statale a lui riservata, ma anche la fortuna personale accumulata dal momento dell'incoronazione (1999), grazie alla posizione dominante occupata nel sistema economico marocchino.

Un "successo" - ripercorso da Laurent e Graciet nel libro Le roi prédateur, main basse sur le Maroc - che non sembra risentire della fase di recessione attraversata dal paese, come confermano i bilanci costantemente in attivo della holding reale SNI/ONA. Oltre ai benefici "storici" legati all'introito dei fosfati, la società di investimenti è riuscita ad affermarsi in poco tempo, attraverso le sue filiali, come leader nei principali settori strategici (bancario, assicurativo, agro-alimentare, immobiliare, minerario, energie rinnovabili, telecomunicazioni, e grande distribuzione nei supermercati).

Così, presentatosi dopo l'ascesa al trono all'opinione pubblica come il "re dei poveri" - in virtù dei piani di sviluppo promossi e delle donazioni elargite dalle sue fondazioni, provvedimenti peraltro effimeri se consideriamo che l'indice di povertà colpisce quasi un terzo della popolazione (28%, fonte UNDP 2010) - Mohammed VI si è rapidamente trasformato nel "re degli affari", riuscendo a quintuplicare in dieci anni la propria fortuna.

A diffondere pubblicamente le cifre per la prima volta - dato l'abituale silenzio che aveva sempre circondato le questioni di Palazzo - era stata la rivista americana Forbes nel 2009, piazzando il sovrano alawita nella lista delle personalità più ricche del mondo. Nella speciale classifica riservata alle teste coronate il monarca marocchino occupava allora il settimo posto con 2,5 miliardi di dollari stimati (che non comprendono il capitale immobiliare costituito dai palazzi e residenze), davanti all'Emiro del Qatar e del Kuwait, teoricamente meglio equipaggiati considerando le risorse in idrocarburi a loro disposizione.

La nuova etichetta di businessman di cui si è fregiato Mohammed VI è però severamente criticata dai due giornalisti francesi che ricordano, citando fatti e testimonianze, come lo spirito imprenditoriale abbia poco a che fare con un contesto politico ed economico estremamente opaco e in cui "il potere assoluto di cui gode il monarca ha permesso di azzerare la concorrenza. Il Marocco di oggi è ben lontano dall'essere un'economia aperta e competitiva".

"In origine il nostro intento non era quello di scrivere un libro sulla fortuna del sovrano - riferisce Eric Laurent nel corso di un'intervista rilasciata al settimanale L'Express - Volevamo fare una sorta di bilancio della monarchia al momento delle primavere arabe, per capire come si stava adattando, quale era il suo margine di manovra e in che modo sarebbe riuscita a conservare la sua legittimità. E' stato solo ad inchiesta in corso, attraverso le testimonianze raccolte, che ci siamo resi conto che il sovrano si trovava ad aver accumulato un'enorme fortuna, mentre le risorse e gli introiti del paese continuavano ad essere scarsi. La situazione ci ha sorpreso. Scavando più a fondo abbiamo capito che la prassi adottata dal re e dalla sua entourage era quella della sottrazione e della malversazione: sudditi divenuti clienti delle società reali in situazione di quasi monopolio, appropriazione di una parte considerevole delle sovvenzioni di Stato e dei fondi della cooperazione. In altre parole una depredazione".

Pertanto, conclude sempre il giornalista, un arricchimento sfrenato come quello registrato da Mohammed VI e da alcuni uomini al suo servizio potrebbe avere delle conseguenze incalcolabili - ben più gravi della manifestazione repressa davanti al Parlamento - in un momento in cui la popolazione si trova stretta in una morsa tra recessione e austerità che indebolisce in particolar modo la classe media.

"Nel contesto sociale marocchino [tutto questo] non può non essere vissuto come una provocazione e di conseguenza alimentare gli estremismi. Si è andati troppo in là".


(Articolo pubblicato in Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica)

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