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lunedì 29 ottobre 2012

Il Marocco nella rete del Qatar?

La crisi economica del regno maghrebino spinge Rabat ad accettare i vincoli imposti dagli organismi della finanza internazionale e a stringere legami sempre più solidi con le ricche monarchie arabe. Un esempio, la stretta collaborazione inaugurata con l'emirato del Qatar. "E' una buona o una cattiva notizia?", si domanda il giornalista marocchino Ali Amar*.

Foto by AFP

E' ormai lontano il tempo in cui il Marocco gonfiava il petto di fronte alla "tirannia mediatica" del canale televisivo al-Jazeera e ordinava la chiusura - non senza suscitare clamore - dei suoi uffici a Rabat, dopo una serie di reportage "lesivi" dell'immagine calma e serena che il regno ama dare di sé.

In modo abile, il Qatar ha saputo dotarsi di questa "arma eccezionale sul piano della politica internazionale", di cui non è più necessario dimostrare l'influenza. E' noto come la linea editoriale di al-Jazeera sia soggetta agli umori di Shaykh Hamad bin Khalifa al-Thani, la guida di questo emirato lillipuziano dalla ricchezza insolente.

La rendita finanziaria di cui gode grazie alle sue immense riserve di gas e petrolio gli garantisce i mezzi adeguati per imporsi sullo scacchiere regionale e internazionale, vestendo i panni del conciliatore e del fustigatore a seconda del bisogno, in una strategia diplomatica ambigua dalle alleanze flessibili e sconcertanti.


La benevolenza di Doha

Oggi Doha intrattiene rapporti più che cordiali con il Marocco. Una quiete concretizzatasi dopo un valzer incessante di visite ufficiali.

Nel 2011 è stato l'emiro del Qatar a fare il primo passo, offrendo il suo sostegno - non solo a parole - alla politica di Rabat. In risposta, il sovrano marocchino ha appena effettuato una lunga sosta a Doha, nel corso del suo recente viaggio nella regione del Golfo.

"Riguardo alla questione della sovranità nazionale, bisogna ricordare che il Qatar ha sempre espresso una posizione favorevole sulla marocchinità del Sahara e sulla difesa dell'integrità territoriale del Marocco", ha scritto per l'occasione un adulatore della corona alawita per difendere l'idea di un "solido asse Rabat-Doha".

L'affermazione, ampiamente diffusa dalla stampa ufficiale, non può non suscitare ilarità, tanto le relazioni tra i due paesi sono state in passato tumultuose, compreso sullo spinoso dossier del Sahara Occidentale, vero tallone d'Achille del regno alawita.

Nel 1995 Hassan II aveva condannato il colpo di Stato compiuto da Shaykh Hamad contro il padre, al tempo in vacanza in Svizzera e lui stesso autore di golpe contro il cugino al potere nel 1972. Ma l'emirato-confetto non aveva ancora il peso che occupa attualmente sullo scacchiere regionale.


Un "club dei re" contro le rivoluzioni

Le rivoluzioni arabe sono servite a rinsaldare i legami tra le monarchie superstiti, al punto che i ricchi petrosultanati del Golfo hanno velocemente riaffermato la loro santa alleanza con i regni indigenti di Marocco e Giordania, tanto da invitarli in maniera precipitosa attorno alla tavola del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG).

Un'idea quanto meno bizzarra, poi rientrata, ma rivelatrice della febbrile intraprendenza di questi regimi che hanno in comune la loro natura feudale.

Per questo il viaggio di Mohammed VI nella regione può essere interpretato come un segno, una spia della volontà di creare una sorta di "club dei re" dagli obiettivi facilmente intellegibili, come sottolineato dalla fila di esperti britannici citati dal Financial Times.

Il Marocco metterebbe sul piatto la propria esperienza nella gestione politica della contestazione popolare in cambio di sostanziali aiuti economici. La relazione sarebbe vincente per entrambe le corone arabe.

"Le monarchie del Marocco e della Giordania sono uscite relativamente indenni dalla primavera araba", ha affermato Ayesha Sabavala, analista all'Economist Intelligence Unit. "I paesi del Golfo, di conseguenza, hanno tenuto a dimostrare il loro sostegno indefettibile". In concreto, il CCG ha promesso a Rabat e Amman un aiuto di 2,5 miliardi di dollari in cinque anni.


Una "ridefinizione strategica" dovuta alla crisi

L'offensiva diplomatica del Marocco presso i suoi alleati arabi va letta nel quadro di una "ridefinizione strategica" resa necessaria dalla crisi economica che imperversa in Europa, contesto con cui il regno alawita intrattiene la gran parte dei suoi scambi commerciali.

"Il sostegno del CCG al Marocco è riuscito ad acquisire una maggiore importanza solo grazie alla fase di recessione vissuta nella zona euro", è il parere di Kristian Coates Ulrichsen, ricercatore alla London School of Economics (LSE), il quale sottolinea come lo Stato maghrebino farà d'ora in poi sempre più affidamento sugli aiuti di Qatar, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati arabi Uniti per concretizzare i suoi ambiziosi piani di sviluppo (infrastrutture stradali e ferroviarie, energie rinnovabili, agricoltura, turismo..).

Piani di sviluppo che poggiano sul volontarismo del sovrano, spaventato dalle agitazioni sociali che minacciano il suo regno, ma che hanno bisogno di miliardi di dollari per trasformarsi in realtà. Miliardi di dollari che Rabat non riuscirebbe ad investire senza il sostegno diretto dei fondi sovrani del Golfo.


E' necessario un "nuovo contratto sociale"

"Il Marocco continua a soffrire di disequilibri strutturali che gli impongono un nuovo contratto sociale (…). Bisogna smettere di fare promesse, che non fanno altro che aumentare le attese della popolazione. Le attese si trasformano inevitabilmente in frustrazione, nel momento in cui tali promesse non sono mantenute", spiega Lahcen Achy della fondazione Carnegie Endowment.

L'aumento del prezzo del carburante, il saldo negativo della bilancia commerciale ed una agricoltura strozzata dalla pluviometria insufficiente hanno fatto impennare il deficit di bilancio del paese, che ha raggiunto quota 7,5% del PIL - più del doppio della media osservata negli ultimi dieci anni (3%) - senza contare poi le conseguenze della fine della sovvenzione statale per i prodotti di prima necessità.

In questo contesto socialmente esplosivo è difficile per il Marocco rinunciare all'appetito insaziabile del piccolo emirato, tenendo presente che fino al 2010 gli scambi commerciali tra il regno alawita e il Qatar erano di appena 50 milioni di euro all'anno (una cifra irrisoria se si considera che nello stesso periodo il volume degli scambi tra Marocco e Francia, primo partner commerciale di Rabat, era di 6,8 miliardi di euro, ndr).


Il futuro del Marocco è legato Qatar. A quale prezzo?

La situazione sta cambiando. Oltre alle sovvenzioni economiche attese per il 2013 e il sostegno promesso sui mercati internazionali per il prestito di un miliardo di dollari richiesto dal regno, il Marocco sembra disposto ad aprire al nuovo alleato del Golfo il capitale delle sue imprese pubbliche in difficoltà finanziarie.

Sulla lista l'azienda Maroc Telecom, di cui la francese Vivendi vuole cedere in tempi rapidi la propria quota, e la compagnia di Stato Royal Air Maroc.

Doha promette anche di facilitare la lotta alla disoccupazione endemica che affetta il partner maghrebino accogliendo massicciamente la sua manodopera qualificata.

Già nel 2011 il Qatar aveva manifestato la volontà di inserirsi nel settore bancario marocchino e di concedere un ingente fondo di investimento per progetti turistici, il cui budget dovrebbe raggiungere i due miliardi di dollari. Questa frenesia di investire ovunque sembra essere, a prima vista, un'ancora di salvezza per il Marocco. Ma qual è il reale guadagno?

Bisogna tener presente, infatti, che il Qatar Investment Authority (QIA), il più imponente fondo sovrano del pianeta, non è certo controllato da un paladino della democrazia. E il fatto che il Marocco raggiunga a sua volta la schiera dei suoi debitori non è di per sé una buona notizia.

Fra l'altro la disponibilità finanziaria del QIA, stimata a più di 700 miliardi di dollari, non impedisce al fragile emirato di essere lui stesso alla mercé di tentazioni insurrezionali, legate al vulcano dell'islamismo e alle tensioni comunitarie tra sciiti e sunniti.

L'ultimo tentativo di colpo di Stato contro il regime in carica risale soltanto al 2009.


* Ali Amar è stato fondatore e direttore del settimanale indipendente Le Journal (poi Le Journal Hebdomadaire) costretto alla chiusura a seguito di una dura campagna di boicottaggio pubblicitario istigata dal regime marocchino. Amar è autore dei volumi Mohammed VI. Le grand malentendu (Calmann-Lévy, 2009) e Paris-Marrakech. Luxe, pouvoir et réseaux (Calmann-Lévy, 2012). Attualmente collabora con il sito di informazione Slate Afrique.


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