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giovedì 8 marzo 2012

Alta velocità, è polemica anche in Marocco

Presentato ufficialmente ad inizio 2010, il progetto per la costruzione del TGV Tangeri-Casablanca è entrato in fase operativa dal settembre scorso (termine lavori previsto per il 2015). Ma il "capriccio" di Mohammed VI, prontamente avallato dalla classe politica, si sta scontrando con l'opposizione della società civile che critica i gravosi oneri di un'opera lontana dalle priorità del paese.


L'idea di dotare il Marocco di un TGV risale al 2003, quando l'ONCF (Office national des chemins de fer, l'azienda ferroviaria nazionale) aveva commissionato alla società francese Systra uno studio preliminare sull'impatto socio-economico della linea ad alta velocità Casablanca-Marrakech-Agadir. Da sottolineare che la tratta Marrakech-Agadir è tuttora sprovvista di un normale collegamento ferroviario, mentre quello autostradale è stato inaugurato solo nel 2010.
I risultati del rapporto Systra, però, non sono mai stati diffusi e l'ipotesi sembrava accantonata fino all'ottobre 2007, quando Mohammed VI ha firmato il protocollo d'intesa per la realizzazione del tracciato veloce Tangeri-Casablanca (2 ore di percorrenza invece delle attuali 4:45), questa volta senza valutazioni preliminari né studi di impatto, a margine dell'incontro con il presidente Sarkozy.
L'accordo tra il regno alawita e la repubblica francese, primo partner commerciale e solido alleato politico della monarchia sul dossier del Sahara Occidentale, è rapidamente concluso senza l'apertura di una gara d'appalto. "Una violazione delle regole di accesso al mercato che riduce la scelta dell'offerta tecnologica e la possibilità di abbassare i costi dell'opera", sottolinea Cap Démocratie Maroc (CAPDEMA), tra le organizzazioni più critiche nei confronti del progetto, il cui costo ammonta a 2,5 miliardi di euro.
Una violazione che ha avuto come conseguenza immediata il rifiuto da parte della BEI (Banca europea per gli investimenti) di concedere un finanziamento di 400 milioni di euro, contrariamente a quanto era avvenuto per la costruzione del porto TangerMed. La decisione, su cui ha pesato il veto tedesco, è stata motivata dalla mancanza di trasparenza e dall'inosservanza dei principi di concorrenza nell'assegnazione degli incarichi.

Un treno e una fregata per 25 aerei
A beneficiare della commessa dell'alta velocità marocchina sono state tre imprese francesi, la SNCF (Société nationale des chemins de fer, proprietaria del marchio TGV), la RFF (Réseau ferré de France) e la multinazionale Alstom (per la fornitura dei materiali), oltre all'azienda ferroviaria nazionale a cui sarà affidata la gestione della nuova linea. Il gesto "generoso" del sovrano è così servito a ricucire l'incidente diplomatico "dei caccia" e a stemperare i malumori sorti tra Rabat e l'Eliseo.
Nel 2006, infatti, il regno alawita aveva manifestato l'intenzione di acquistare 25 aerei da combattimento per rispondere al riarmo della flotta operato dalla vicina Algeria. Ma, dopo un iniziale interessamento al modello Rafale, l'offerta della francese Dassault era stata accantonata a profitto della ben più vantaggiosa proposta americana (F-16).
Una scelta mal digerita dal neoeletto Sarkozy, che nel 2007 ha minacciato di annullare la visita ufficiale in Marocco in assenza di una compensazione per i mancati introiti dell'industria transalpina. Ecco spuntare allora, sul tavolo dell'incontro tra i due capi di Stato, l'accordo per l'acquisto di un fregata Fremm e, soprattutto, il protocollo d'intesa sulla realizzazione del TGV, fiore all'occhiello del catalogo made in France.
Per Mohammed VI l'occasione è irrinunciabile: costruire il primo treno ad alta velocità del continente africano e del mondo arabo, collegando i due maggiori poli produttivi del paese (Tangeri e Casablanca). Il progetto, presentato come "un motore di sviluppo per l'intera economia nazionale", rappresenta una vetrina per il sovrano e per l'intero regno, che può offrire un'immagine di sé dinamica e moderna. Parigi invece, oltre ad aver lavato l'offesa dei Rafale, è riuscita a dar respiro a due società di assoluta importanza strategica (SNCF e RFF), messe in ginocchio proprio dalla scarsa redditività del "modello TGV".


"Fallimento ad alta velocità"
Nel settembre 2011, mentre il Marocco - scosso dalla contestazione politica e sociale - celebrava l'inizio dei lavori della nuova linea, il TGV francese ha festeggiato i suoi primi trent'anni. Il bilancio, tuttavia, a parte l'accorto lavoro di marketing non sembra tra i più positivi. Le locomotive lanciate a 320 km/h, infatti, pur rimanendo un simbolo di progresso tecnologico, hanno aperto una voragine finanziaria nelle casse delle due società di Stato, a causa dei costi proibitivi e delle spese di mantenimento.
Come spiega il giornalista Marc Fressoz nel libro Faillite à grande vitesse ("Fallimento ad alta velocità"), la RFF e la SNCF hanno accumulato dei debiti insolvibili con il Tesoro, benché quest'ultima goda di una situazione di monopolio nei traffici interregionali. La "dottrina dell'alta velocità", inoltre, si è andata affermando a discapito dei collegamenti secondari, in costante declino in termini di qualità e investimenti, nonostante il volume dei passeggeri interessati sia nettamente superiore a quello del TGV (che conta 1,8 miliardi di viaggiatori dal 1981, contro 21 miliardi, nello stesso periodo, per la restante rete ferroviaria nella sola regione parigina).
Anche nel caso marocchino, il peso di un progetto faraonico e di dubbia utilità rischia di avere, più che l'effetto trainante annunciato dalle autorità, delle gravi ripercussioni su un'economia nazionale già compromessa dal crescente indebitamento e dal deficit ormai strutturale della bilancia commerciale.
Dei 2,5 miliardi di euro necessari per il TGV, riferisce l'associazione CAPDEMA, solo il 4% sarà costituito da finanziamenti a fondo perduto mentre il 27% graverà direttamente sul budget a disposizione dell'esecutivo e il restante 69% sarà sostenuto dai prestiti francesi e delle monarchie del Golfo. Prestiti a "condizioni vantaggiose", si ostinano a ripetere gli uffici ministeriali, ma i finanziamenti ottenuti, a tassi variabili, saranno comunque soggetti alle oscillazioni dei mercati e determineranno un aumento della pressione sul debito contratto.
Quanto alla fruibilità e al ritorno economico dell'opera, l'ONCF non sembra avere dubbi sul successo dell'alta velocità e avanza una previsione di 8 milioni annui di passeggeri e un tasso di rendita del 12% (il doppio del TGV francese), senza però specificare su quali basi ha effettuato il calcolo né quale sarà il prezzo del biglietto per l'utente. Un dettaglio non trascurabile per un paese in cui più di un quarto della popolazione vive in condizioni di povertà (fonte UNDP) e il salario minimo non oltrepassa la soglia dei 200 euro (quando si ha la fortuna di ottenerlo).
La propaganda del regime alawita - agenzia stampa ufficiale, giornali, televisioni - insiste sull'efficacia del TGV Tangeri-Casablanca, sottolineando la netta riduzione dei tempi di percorrenza. L'argomentazione, tuttavia, è definita "sterile e demagogica" dall'associazione Attac Maroc, che attraverso il portavoce Hassan Akrouid replica: "in primo luogo bisognerà vedere quanti potranno permetterselo. In ogni caso, la maggioranza dei viaggiatori sull'asse Tangeri-Rabat-Casablanca ha altre preoccupazioni che l'attuale durata del tragitto. Per esempio il costo della tariffa, o la qualità e la regolarità del servizio. A cosa serve guadagnare due ore se i treni continuano a farne tre di ritardo o ad essere soppressi?".
Le voci critiche, sempre più frequenti, non provengono soltanto dalle reti degli attivisti o dalle associazioni militanti. Perfino alcuni noti economisti hanno iniziato ad esprimere pubblicamente le loro perplessità sulla pertinenza del progetto. Come ad esempio Mohamed Berrada, ministro delle Finanze sotto Hassan II e non certo una figura legata al panorama dissidente, che ha dichiarato al mensile Economie & Entreprises: "anche se non avessimo investito nel TGV, il tasso di crescita non sarebbe stato in alcun modo compromesso. In questo periodo di crisi sarebbe stato meglio finanziare dei piani di sviluppo per la creazione di impiego".

STOP TGV
A sollevare le polemiche non è solo la questione del finanziamento dell'opera, ma anche la maniera in cui è stata imposta alla popolazione e ai suoi rappresentanti in Parlamento, rimasti all'oscuro dei dettagli fino all'inizio dei lavori nonostante il forte impatto (economico, strategico, ambientale) sull'intera comunità.
Il progetto dell'alta velocità, infatti, è stato voluto e deciso dal Palazzo, un "capriccio reale" come l'ha definito il giornalista Ali Amar, e in Marocco, sebbene si tengano elezioni e si succedano governi, né i ministri né i parlamentari hanno mai osato contestare una decisione del sovrano, che controlla l'esecutivo e, nel caso specifico, nomina il direttore dell'ONCF e il suo consiglio di amministrazione.
Esempio emblematico a questo proposito è l'attitudine mostrata dal partito islamico (PJD), vincitore delle ultime legislative, il quale ha confermato la realizzazione del TGV al momento della presentazione del programma di governo (gennaio 2012), benché un noto esponente della formazione - solo qualche settimana prima - avesse definito il progetto "catastrofico per un paese dove parte della popolazione vive ancora in condizioni degne della preistoria".
Quanto ai cittadini, al di là della retorica sulla bonne gouvernance che ha accompagnato la nuova costituzione (luglio 2011), la loro incidenza sul processo decisionale resta ininfluente. Per cercare di rompere con la logica "del fatto compiuto", alcune organizzazioni della società civile (Transparency, Attac, CAPDEMA, Azetta, BDS…) si sono fatte promotrici della campagna STOP TGV, a cui hanno già aderito circa cinquanta associazioni e il movimento dissidente "20 febbraio".
L'obiettivo della campagna, spiega l'imprenditore Omar Balafrej, è sollevare un dibattito pubblico e portare a conoscenza dei marocchini le reali implicazioni "di un'opera insensata e gravosa", che toglierà risorse a settori di sviluppo prioritari: "la nostra petizione, oltre a chiedere l'abbandono immediato del progetto, avanza proposte alternative il cui beneficio non sarà rivolto solo ad un'esigua minoranza. Con lo stesso budget riservato all'alta velocità, ossia il doppio di quello destinato alla sanità e due terzi di quello a disposizione del governo per i nuovi investimenti, si potrebbero costruire 36 mila comparti industriali, 25 centri universitari ospedalieri all'avanguardia o 25 mila scuole nelle zone rurali e di montagna".
"Chiediamo un confronto aperto con l'ONCF - insistono i membri del collettivo anti-TGV - la nostra rete ferroviaria, certo più evoluta rispetto ad altri Stati della regione, è rimasta intatta o quasi dalla fine del Protettorato. Perché non prendere in considerazione, per prima cosa, l'estensione del tracciato fino ad Agadir [sud], Tetuan, Nador [nord] e Errachidia [est]? Quanto ai vantaggi della velocità, i nostri treni potrebbero viaggiare a 160 km/h, ma la loro andatura difficilmente supera gli 80 km/h a causa delle lamentabili condizioni dei collegamenti. Basterebbe una manutenzione più efficiente per ridurre in modo considerevole la durata dei tragitti".
La parabola del TGV sembra riassumere fedelmente l'immagine di un paese che, nonostante i piani di sviluppo nazionali (INDH) e internazionali (UNDP), nonostante le riforme e i cambiamenti prospettati per l'avvenire, continua a procedere a due velocità differenti. "In Marocco - conclude Hassan Akrouid - c'è una prima classe che detiene la gran parte delle risorse e può permettersi tutto, non conosce crisi né austerità, e c'è una seconda classe invece, ben più numerosa della prima, che manca delle infrastrutture di base, a volte perfino dei generi di prima necessità, e che lotta ancora oggi per veder riconosciuti diritti sociali e dignità". Una prima classe, insomma, che fra qualche anno potrà viaggiare su treni di lusso a 320 km/h, fare colazione a Tangeri e pranzare a Casablanca, e una seconda classe che continuerà ad andare a piedi o a percorrere anche 100 km per raggiungere l'ospedale più vicino.


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