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venerdì 28 ottobre 2011

Moncef Marzouki, ora una Tunisia moderna e rispettosa dell’identità islamica

Continua l’attesa per i risultati definitivi dell’elezione costituente. Intanto si conferma la larga affermazione del partito islamico Ennahda, che ha conquistato 68 dei 169 seggi all’assemblea assegnati fino a questo momento (su un totale di 217). Tuttavia, una delle maggiori sorprese riservate dalle urne tunisine è il successo ottenuto dal Congrès pour la republique (CPR) di Moncef Marzouki (secondo partito con 23 seggi provvisori).


Marzouki, presidente della Ligue tunisienne des droits humains dal 1989 al 1992 (anno della dissoluzione temporanea imposta da Ben Ali), ha fondato il CPR nel 2001. Il partito, non riconosciuto dalle autorità, ha accolto tra le sue fila storici oppositori alle dittature di Bourghiba e di Ben Ali di diverso orientamento politico e numerosi attivisti per i diritti umani. Presidente del Congrès pour la republique, Moncef Marzouki è rimasto in esilio fino al 14 gennaio 2011.


Il Congrès pour la republique ha ottenuto, almeno secondo i dati parziali, un risultato eccellente e credo inaspettato. Quali sono le ragioni di questa affermazione, secondo il suo presidente?
Il popolo tunisino ci ha dato fiducia essenzialmente per due motivi. Il primo è la nostra partecipazione attiva alla rivoluzione. I nostri militanti, che hanno sempre pagato caro l’opposizione al regime di Ben Ali, sono stati tra i primi ad essere arrestati ad inizio gennaio, quando la rivolta scoppiata nelle regioni dell’interno è arrivata a Tunisi. Gli elettori hanno riconosciuto i sacrifici fatti e la persecuzione subita dagli attivisti del Congrès, e da quelli di Ennahda. In effetti eravamo le due maggiori fonti di resistenza alla dittatura.
Il secondo motivo è la nostra integrità. Non abbiamo fatto promesse che non saremmo stati in grado di mantenere, ci siamo astenuti dal partecipare al gioco sporco della guerra ideologica e abbiamo sempre sostenuto, già da prima della rivoluzione, la necessità di una conciliazione tra le forze dissidenti. Inoltre, siamo rimasti fuori dalle controversie sulla pubblicità e sull’utilizzo di fondi di dubbia origine durante il periodo di campagna elettorale

A suo avviso perché il PCOT (Parti communiste ouvrier tunisien), vittima della dura repressione del regime come il Congrès e Ennahda, non ha visto riconosciuti i suoi sacrifici (fino ad ora ha conquistato un solo seggio in assemblea, nda)?
Il grave handicap del PCOT è l’attaccamento ad una rigida ideologia marxista, che non suscita più entusiasmo nella popolazione. Il suo attivismo contro la dittatura è stato sincero e prezioso, ma il partito è rimasto chiuso in una dimensione elitista e le sue posizioni sono condivise da una piccola frangia di studenti universitari e di sindacalisti dissidenti all’interno dell’UGTT.

E’ rimasto colpito dal largo successo ottenuto da Ennahda, soprattutto in termini di voti? Come si spiega un simile risultato?
La vittoria di Ennahda era prevedibile, anche in termini di preferenze ottenute. E’ riuscita a presentarsi come una garanzia nella difesa dell’islam, ed ha ottenuto il sostegno del popolo, stanco dei continui attacchi alla religione. Il finanziamento illimitato della campagna elettorale e il ruolo delle moschee come centri di propaganda è secondario, la sua posizione di forza era già acquisita. In più, i tunisini hanno voluto riabilitare un movimento stroncato dal vecchio regime, che in venti anni ha accumulato migliaia di condanne e quasi un centinaio di martiri morti in prigione o sotto tortura.

Il suo partito è disposto a formare un’alleanza di governo con la formazione islamista?
Certamente, non abbiamo mai nascosto questa eventualità. Ora è il momento di dar vita ad governo di coalizione nazionale che riesca ad inglobare il maggior numero delle forze politiche presenti in assemblea costituente, prima fra tutte Ennahda che dispone della più ampia legittimità.
Il Congrès è formato da attivisti credenti e non, oltre che da musulmani praticanti. Vi convivono assieme vecchi militanti nasseristi, nuovi nazionalisti e socialisti. Il nostro non è un partito ideologico, ma un partito politico, che si pone l’obiettivo di fondare le basi di uno Stato democratico e pluralista, in grado di voltare le spalle a cinquant’anni di dittatura e di chiudere i conti con il passato nella più vasta concertazione possibile.

In molti le rimproverano una mancanza di chiarezza nelle sue posizioni in difesa della laicità e dei diritti fondamentali che essa presuppone. Cosa risponde?
Lo scontro tra laici e islamisti è una polemica sterile che non rientra tra le priorità del Congrès e del popolo tunisino, come confermano i risultati delle urne. Quei partiti che hanno fatto della difesa intransigente della laicità l’unico cavallo di battaglia sono stati sanzionati dagli elettori. Tanto più che la retorica esclusivamente anti-islamista profusa dal PDP o dal PDM (Pole démocratique moderniste) ricorda i modi e il linguaggio utilizzato da Ben Ali dopo il 1989. E’ in nome della battaglia contro l’oscurantismo e della guerra preventiva al fondamentalismo che si è giustificata nella storia del paese l’instaurazione di uno Stato di polizia e la successione delle campagne repressive.
Per quanto ci riguarda, abbiamo sempre difeso i diritti dell’uomo e continueremo a farlo, in particolar modo l’uguaglianza uomo-donna e le libertà individuali, che io considero delle linee rosse invalicabili. Ma allo stesso tempo, vogliamo essere portatori di una modernità capace di mediare con le forze islamiche e conservatrici del paese.

Sareste disposti ad accettare che il nuovo testo costituzionale riconosca l’islam come religione di Stato?
Sì, poiché l’islam è la religione del popolo tunisino. Chiederemo, a questo proposito, che l’articolo 1 della costituzione venga confermato nella sua formulazione attuale: “la Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano; la sua religione è l’islam, la sua lingua l’arabo e la repubblica è la sua forma di governo”.

Non teme la prevaricazione dell’ala radicale di Ennahda, i cui esponenti non fanno troppo mistero sulle intenzioni di voler applicare la shari‘a alla nuova legislazione?
Ennahda ha preso un impegno con gli elettori e con le altre forze politiche. Nel suo programma non è menzionata l’applicazione della legge coranica e non vedo con quale diritto dovrei mettere in discussione la sincerità di Rachid Ghannouchi. Tanto più che la shari‘a, se vogliamo, è già una delle fonti del diritto tunisino, che sanziona l’usura, il gioco d’azzardo o l’adulterio, sia dell’uomo che della donna.
Detto questo, il Congrès rimane attaccato alla identità arabo-musulmana del paese, ma non permetterà che questo richiamo identitario divenga motivo di chiusura o di esclusione. Non saremo mai disposti ad accettare che l’islam si trasformi nel paravento di una nuova dittatura di tipo religioso. Se le linee rosse verranno travalicate, abbandoneremo il governo e passeremo all’opposizione. Come dicevo poco fa, ci siamo battuti per tutta la vita in difesa dei diritti e delle libertà di cui siamo stati ferocemente privati, non è certo il momento di cedere su questo punto.

La nuova struttura istituzionale e la ripartizione dei poteri sono tra i temi più dibattuti in questi primi giorni post-elettorali. Qual è in proposito la posizione del suo partito?
Per il Congrès la separazione dei poteri dovrà essere accompagnata da una struttura semi-presidenziale. Il Presidente della repubblica, eletto direttamente dai cittadini e in carica per quattro anni (con la possibilità di un solo rinnovo del mandato), avrà facoltà esecutive in condivisione con il consiglio dei ministri, emanazione della maggioranza parlamentare.
L’assemblea legislativa, che potrà essere sciolta dall’esecutivo, avrà un potere di sanzione nei confronti del capo della Stato. E’ un sistema che offre la garanzia di un controllo reciproco e costante tra le istituzioni. Su questo punto bisognerà trovare un accordo con Ennahda, che avendo la maggioranza dei voti – da confermare alle prossime legislative – opta per un parlamentarismo puro con cui potrebbe assicurarsi il monopolio delle istituzioni.

Sul piano economico il Congrès pour la republique sembra discostarsi dal canone liberista adottato dalle principali forze politiche che siederanno all’assemblea, da Ennahda al PDP, passando per la Petition populaire del proprietario televisivo Hachemi El Hamdi. A quale modello farete richiamo?
Al modello socialdemocratico, dove allo Stato è riconosciuta una funzione regolatrice, con facoltà di intervenire nel sistema economico per correggere le disuguaglianze flagranti in seno alla popolazione. Per esempio, incentivando gli investimenti nelle regioni marginalizzate dell’interno piuttosto che in aree già sviluppate come la costa del Sahel. Oppure facendo fronte all’aumento del costo della vita. In questi casi, non è certo la deregolamentazione dei mercati che ci offrirà una soluzione immediata e lo stato dovrà assicurare la sovvenzione dei prodotti di prima necessità e mantenere il monopolio di alcuni servizi strategici, come l’elettricità e i trasporti.
Ma il nostro partito non è contro l’iniziativa privata e gli imprenditori. Siamo consapevoli che il loro sforzo sarà determinante per risollevare le sorti di un’economia che nell’ultimo decennio ha perduto la sua forza propulsiva ed ha divorato la classe media del paese. Quello che chiediamo è il rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.

Nei giorni scorsi lei ha fatto visita ai feriti della rivoluzione in sciopero della fame ed ha accolto, a titolo personale, le loro rivendicazioni: cure immediate a carico dello Stato e la condanna dei responsabili delle violenze sotto il passato regime. Il suo partito si farà carico delle richieste dalla popolazione, che vuole l’applicazione immediata di una giustizia transitoria?
La condanna dei responsabili delle violazioni sotto il passato regime è un’esigenza primaria del Congrès, come della gran parte della popolazione. Il problema si pone nel dover chiedere i conti a migliaia di persone, dal momento che la corruzione e la repressione non sono fenomeni imputabili a poche famiglie o a pochi individui.
Il primo passo sarà la riforma della giustizia, la base che è mancata fino ad ora per poter avviare questo tipo di provvedimenti. La complicità di una magistratura agli ordini, infatti, era uno dei pilastri su cui si è fondata la dittatura di Ben Ali. Ma oltre alla punizione dei responsabili dei reati più gravi, vogliamo che il popolo venga a conoscenza di tutta la verità sulle violenze, sugli abusi e sui metodi di corruzione. La costruzione di una memoria collettiva sarà uno strumento necessario al consolidamento democratico e un provvedimento utile ad allontanare l’eventualità di un ritorno a certe pratiche.

Secondo alcune indiscrezioni, Moncef Marzouki sarebbe uno dei probabili candidati alla carica di primo ministro. Conferma la notizia?
No, non posso confermare. Anzi, Ennahda ha appena avanzato la proposta di conservare Béji Caid Essebsi alla guida del consiglio dei ministri, eventualità che da sola escluderebbe la partecipazione del Congrès alla maggioranza di governo. Il popolo ha votato per il cambiamento non per la conservazione dello statu quo.



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