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mercoledì 10 agosto 2011

Hamid El Kanouni, il Bouazizi marocchino?

E’ ancora vivo nel cuore mediterraneo e non solo il ricordo dell’ambulante Mohamed Bouazizi. Indelebile il suo gesto, la rabbia e la disperazione che l’hanno spinto, inconsapevole, ad accendere la miccia della rivoluzione tunisina, a sua volta detonatore dei sollevamenti popolari che hanno infiammato il Nord Africa e il Medio Oriente in questi ultimi mesi.


A pochi giorni dall’inizio del ramadan, un nuovo caso di immolazione, avvenuto in Marocco, potrebbe innescare la dura reazione della popolazione, surriscaldando un clima già teso ma ritenuto ancora “sotto controllo”. Fino a questo momento, infatti, le manifestazioni di protesta contro il regime di Rabat, guidate dal Movimento 20 febbraio, sono rimaste pacifiche anche di fronte alla repressione della polizia (che a fine maggio aveva provocato la morte dell’attivista Kamal Omari nella cittadina di Safi). Lo scenario, dopo il suicidio del ventisettenne Hamid El Kanouni, potrebbe però “aggravarsi”.

Hamid El Kanouni

Domenica 7 agosto a Berkane (a metà strada tra Oujda e Nador, non lontano dal confine settentrionale con l’Algeria, ndt) il giovane ambulante marocchino si è cosparso il corpo di benzina e si è dato fuoco di fronte al commissariato cittadino, per protestare contro il sequestro della merce e l’umiliazione subita ad opera di alcuni agenti locali. La storia di Hamid sembra ricalcare con fedele precisione le vicende di cui fu protagonista, o meglio vittima, il coetaneo tunisino Bouazizi. El Kanouni è stato trasferito d’urgenza all’ospedale Ibn Rochd di Casablanca, dove è morto all’alba dello scorso 9 agosto.
“Mi hanno mortificato e ho perso la mia unica fonte di sostentamento. Non resta che la hogra (termine traducibile con «disperazione senza via d’uscita»)!”, sono queste le ultime parole pronunciate da Hamid prima di entrare in coma (riportate da Lakome), secondo quanto riferito da alcuni amici che l’hanno accompagnato, agonizzante, nel suo ultimo viaggio fino alla metropoli atlantica. Stando al racconto dei compagni, dall’inizio del ramadan Hamid vendeva pane fresco con un carretto nel mercato Attahtaha, situato nel centro di Berkane, in avenue Mohammed V. “Si era posizionato di fronte ad una panetteria, il proprietario non ha gradito ed ha sollecitato l’intervento delle autorità”, ha dichiarato Ahmed Seddiqi, presidente della sezione locale dell’AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani). La sera di domenica, dopo un diverbio con il padrone del forno, una macchina della polizia è arrivata in avenue Mohammed V e ha sequestrato la merce ed il carretto di Hamid. Partito al commissariato per tentare di recuperarli, il ventisettenne ha ricevuto soltanto insulti e schiaffi dagli agenti. Dopodiché, ha acquistato un tanica di benzina e si è dato alle fiamme di fronte al posto di polizia.
Quello di Hamid non è l’unico caso di immolazione registrato in Marocco dall’inizio dei sollevamenti nella regione. Al di là della propaganda di governo, la hogra, la marginalità sociale ed economica, non fanno eccezione nel regno alawita. Il 21 febbraio scorso, l’indomani della prima giornata di mobilitazione nazionale indetta dal Movimento 20 febbraio, si erano registrati tre tentativi di suicidio. A Ben Guerir un militare aveva tentato di togliersi la vita cospargendosi di benzina in seguito al licenziamento. Con la stessa modalità, Hocine Saeyieh aveva cercato la morte di fronte alla sede della provincia di Tan Tan, dopo che le autorità si erano rifiutate di farlo entrare all’interno del palazzo. Fadua Laroui, invece, si era data fuoco di fronte al municipio di Souk Sebt (nella regione di Sidi Kacem) dopo essere stata cacciata dalla sua baracca nella bidonville della città, in via di demolizione come deciso dal piano governativo che non prevede tuttavia una soluzione di reintegro abitativo per gli sfollati. Fadua si era spenta dopo quattro giorni di sofferenze. In quell’occasione, le dimostrazioni popolari non avevano scatenato violenze.

La salma di Hamid parte alla volta di Berkane

Oggi il corpo senza vita di Hamid El Kanouni è tornato a Berkane per essere sepolto. Nella città si temono disordini, tanto che le autorità hanno richiesto l’invio massiccio di forze dell’ordine. Il procuratore, su sollecitazione degli attivisti locali, ha promesso l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto, nel tentativo di gettare acqua sul fuoco. Ma il risentimento della popolazione locale, e non solo, sembra sul punto di esplodere. Ai familiari di Hamid era stato “suggerito” di effettuare la cerimonia funebre e l’inumazione a Casablanca, tale è la paura che la situazione a Berkane possa degenerare e che le proteste durante i funerali possano sfuggire al controllo. “Ci hanno chiesto 3500 dirham per il trasporto della salma – ha affermato a Lakome Faysal – se Hamid avesse auto una somma simile non si sarebbe di certo dato fuoco”. L’importo è stato pagato dai militanti del Movimento 20 febbraio che, dopo aver organizzato una veglia funebre di fronte alla morgue dell’Ibn Rochd, hanno indetto manifestazioni e sit-in per i prossimi giorni.
Ad aggravare la situazione ci ha pensato poi la MAP. L’agenzia stampa di regime ha pubblicato un dispaccio nella serata di ieri con cui ha negato, nonostante le dichiarazioni già rilasciate ai media indipendenti da amici e parenti, ogni responsabilità della forza pubblica sul suicidio del giovane ambulante. Secondo il portavoce monarchico, che cita un’anonima fonte di polizia, sarebbe stato infatti “uno sconosciuto a distruggere il carretto e la merce del ventisettenne, fatto questo che l’ha spinto a cospargersi di combustibile e ad immolarsi”. Inutile sottolineare che la nota è stata smentita con sdegno dai congiunti di Hamid: “è una menzogna! Hamid è stato schiaffeggiato e insultato da un agente. Derubato e umiliato, è andato a comprare una tanica di benzina”, conferma l’amico Faysal. Del resto Hamid El Kanouni si è dato fuoco di fronte al commissariato e non in un posto a caso, nemmeno di fronte alla panetteria da cui era nato il diverbio.
Nei giorni che seguirono al 17 dicembre, quando Mohammed Bouazizi si diede alle fiamme, la polizia tunisina sparò sui manifestanti a Sidi Bouzid e Kasserine. L’episodio scatenò la rivolta che, giunta a Tunisi, costrinse il dittatore Ben Ali e la sua entourage a fuggire. Le autorità marocchine, probabilmente, staranno ben attente a non ripetere lo stesso errore…

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