Arrêt sur image

mercoledì 1 giugno 2011

La stampa internazionale e l’UE allarmate dal “nuovo scenario” marocchino

La Commissione europea ha espresso lunedì scorso (30 maggio) la sua inquietudine per le violenze con cui Rabat ha risposto alle manifestazioni dei giovani marocchini – scesi in piazza per reclamare il cambiamento politico e sociale – domenica 29 maggio a Casablanca, Tangeri, Agadir, Marrakech, Oujda, El Jadida e in molte altre città del regno. “Siamo preoccupati per la violenza di cui è stato fatto uso in Marocco durante le contestazioni di domenica”, ha dichiarato Natasha Butler, portavoce del Commissario UE incaricato delle politiche di vicinato, Stefan Fule. “Chiediamo di contenere l’utilizzo della forza e di osservare il rispetto delle libertà fondamentali”. La stessa portavoce ha sottolineato come la libertà di riunione e di espressione facciano parte di quei “diritti democratici” che il regime afferma, a parole, di garantire.


La settimana scorsa la stessa Unione Europea, pur avendo riconosciuto che “le autorità marocchine hanno intrapreso un programma di riforme importante”, aveva ricordato a Rabat che sul piano della democrazia e delle libertà fondamentali il quadro generale del paese resta ancora “contrastante”, soprattutto per quel che riguarda la libertà di stampa (l’ultimo episodio di censura riguarda il “caso Rachid Nini”). “Sono molteplici le misure restrittive intraprese contro i media, sia nazionali che stranieri, atte in particolare a limitarne la libertà di movimento”, ha segnalato l’UE, che poi ha puntato il dito contro “gli attacchi alla libertà di espressione e di manifestazione delle organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani” e contro le violenze di Gdeim Izik e Laayoune del novembre 2010, giudicate “particolarmente preoccupanti”.
A tre settimane dall’inizio della repressione violenta delle contestazioni pro-democratiche animate dal Movimento 20 febbraio, l’opinione pubblica internazionale sembra essersi resa conto che il Marocco non è più quell’oasi di pace e tolleranza risparmiata dagli sconvolgimenti sociali e politici di cui la “primavera araba” si è fatta portatrice. La violenza ha raggiunto le piazze del regno alawita e, almeno per il momento, non è imputabile alle centinaia di giovani che rifiutano le riforme promesse dal sovrano e chiedono “un cambiamento radicale del regime” oltre alla “fine dell’assolutismo monarchico”. Il carattere delle contestazioni, che si ripetono ormai con cadenza settimanale dal 20 febbraio scorso, è rimasto assolutamente pacifico. Ad essere cambiato, nel nuovo scenario marocchino, è invece l’atteggiamento delle autorità che, a partire dal 15 maggio, hanno deciso di dichiarare illegale ogni forma di contestazione (non solo quelle del “20 febbraio”, ma anche i sit-in dei laureati-disoccupati o dei sindacati di categoria – come nel caso dei medici radunatisi attorno al Ministero della Sanità il 25 maggio) e di impedire con l’utilizzo brutale della forza lo svolgimento delle manifestazioni. Nessuna dissidenza che si discosti dalla linea ufficiale (il Marocco paese democratico per volontà e concessione reale) sembra essere più tollerata.
Pertanto la dissidenza esiste, gode di un discreto appoggio popolare e reclama pacificamente uno spazio legittimo. Rabat ne è consapevole e proprio per questo accompagna la repressione sulle strade con l’arsenale mediatico di cui dispone per gettare discredito sul movimento e alienare ai giovani democratici la simpatia e il sostegno espresso dalla popolazione durante le dimostrazioni promosse nei mesi scorsi (leggi in proposito l'articolo scritto dal blogger marocchino Larbi). La “controffensiva” comprende, da domenica 29 maggio, anche l’organizzazione di marce, queste sì autorizzate e ben protette, a sostegno del governo e contro il “caos generato dalle proteste”. Tale era l’intento del centinaio di manifestanti – commercianti preoccupati per l’economia del paese, secondo l’agenzia stampa del regime – che hanno sfilato indisturbati di fronte al parlamento. Curiosità, i cartelli esposti di fronte all’assise nazionale (stop! Estremisti lasciate in pace il nostro paese) erano gli stessi che i funzionari di polizia hanno appeso (testimonianza riportata dai presenti in loco), poche ore prima della marcia, sui muri e sulle caffetterie del quartiere di Sbata (Casablanca), dove secondo la stampa nazionale gli abitanti avrebbero “espresso il loro disappunto nei confronti degli agitatori e solidarizzato con gli agenti di polizia”. Uno dei quotidiani più noti, L’Economiste, ha pubblicato nell’edizione di martedì 31 maggio una foto in prima pagina a sostegno della tesi. Nell’immagine riportata in basso, tuttavia, appare fin troppo evidente il grossolano fotomontaggio.


Del resto, “non bisogna credere ai media marocchini”, come ha recentemente affermato senza mezzi termini un reporter di 2M (il secondo canale di Stato) il quale, spiegando ad un medico in sciopero le ragioni della censura della sua intervista, ha poi dichiarato: “è così che vengono trattati i servizi sulle reti nazionali per nascondere la realtà al popolo”. Lo sfortunato giornalista, che conosce da molto vicino il funzionamento dei media di regime, aveva spento la telecamera, ma a pochi passi da lui qualcun altro stava filmando le sue parole…
A Sbata, ben diversamente dal quadretto dipinto nelle edicole e in televisione, gli abitanti del quartiere hanno difeso i manifestanti e la stampa free-lance giunta sul posto per coprire gli eventi, mettendoli in salvo dagli agenti che li inseguivano in moto e con i mezzi blindati. “Per sfuggire alla furia dei poliziotti, io e altri due colleghi siamo finiti in un’impasse all’interno della bidonville. E’ stato un uomo che viveva in una baracca vicina a mostrarci la via di fuga prima dell’arrivo delle forze dell’ordine”, riferisce il giornalista Aziz El Yaakoubi. A pochi passi da lui, l’attivista Hamza Mahfoud veniva picchiato con particolare zelo (due manganelli si sono spezzati mentre colpivano il suo corpo), punito forse per aver strappato di fronte ad una videocamera l’ingiunzione a non scendere in strada comunicatagli qualche ora prima dal Procuratore della città. Il giovane regista Hicham Ayouch, invece, è stato aggredito da alcuni agenti in borghese mentre cercava di riprendere quanto stava succedendo attorno a lui (la sua apparecchiatura è stata messa fuori uso).
Quanto successo domenica scorsa a Casablanca, ma anche a Tangeri, Oujda e Agadir (dove persino il Presidente del Congers Mondial Amazigh è rimasto vittima degli sfollagente, come riporta il comunicato dell’organizzazione berbera, che ribadisce il suo sostegno alle proteste) è l’ennesimo racconto dell’azione violenta e intimidatrice con cui le autorità marocchine hanno deciso di fronteggiare le centinaia di manifestanti che continuano a sfidare la repressione, ribadendo la necessità “di un vero cambiamento”. Qualcuno, al di fuori del regno, sembra finalmente essersi accorto delle violazioni commesse dal regime e delle pericolose conseguenze a cui il regno maghrebino sta andando in contro con un simile atteggiamento. Per il sito francese di informazione Rue89, Rabat “ha suonato la fine della ricreazione” (come aveva già affermato Omar Radi a (r)umori dal Mediterraneo), secondo la rivista Foreign Policy, invece, il Marocco sarebbe ormai giunto “alla resa dei conti”, mentre la CNN denuncia l’estrema durezza degli interventi repressivi in un paese ritenuto – forse a torto – tollerante e democratico. Quanto ai canali italiani di informazione, tutto tace…

Di seguito l’articolo scritto da Ignacio Cembrero per El Pais (30 maggio 2011) e alcune immagini giunte dal quartiere Sbata (Casablanca), dove domenica scorsa le cariche della polizia si sono lasciate dietro - come già accaduto il 22 maggio – decine di feriti.


Il Marocco applica la linea dura alle proteste dei giovani

Rabat si inorgogliva, fino a poco fa, di essere l’unico tra i paesi arabi a non reprimere le proteste dei giovani, iniziate nel territorio marocchino a fine febbraio. Tuttavia, da due settimane almeno, le forze dell’ordine ricorrono sistematicamente al manganello e alle intimidazioni per impedire alle contestazioni di avere luogo, nonostante il loro carattere pacifico. Il primo episodio di violenza lo scorso 15 maggio, quando i giovani del Movimento 20 febbraio hanno cercato di organizzare un picnic nella foresta di Temara, che circonda la sede della polizia politica (DST - Direzione per la Sorveglianza del Territorio), in cui si troverebbe – secondo loro – un carcere segreto. Ulteriori manifestazioni indette nei giorni 22, 28 e 29 maggio sono state represse violentemente provocando, in alcuni casi, decine di feriti. Nei giorni e perfino nelle ore precedenti ai cortei, la polizia aveva già provveduto ad impedirli. I suoi agenti hanno fatto visita nelle case dei sospetti organizzatori, intimandogli di firmare un documento, il quale proibiva lo svolgimento delle contestazioni. Coloro che erano stati segnalati (con foto e video realizzati dagli stessi poliziotti, ndt) durante le proteste precedenti, sono stati avvertiti dei rischi che avrebbero corso se fossero scesi di nuovo in strada a manifestare.
“Ricorrono a metodi intimidatori”, assicura il giornalista Omar Radi colpito in strada, secondo le sue affermazioni, diverso tempo dopo che la piccola folla davanti al parlamento era stata dispersa sabato pomeriggio (28 maggio). Lo stesso Omar Radi è stato poi minacciato di morte da un ufficiale di polizia nel caso avesse ancora preso parte alle mobilitazioni.
Una simile repressione “contraddice le dichiarazioni con cui lo Stato marocchino aveva espresso la sua volontà di accettare il compromesso democratico”, ricorda un comunicato del movimento, formato dai giovani iniziatori delle proteste. Perfino la Commissione Europea ha espresso ieri la sua preoccupazione per la violenza di cui si è fatto uso per impedire le manifestazioni. “Chiediamo (a Rabat) di osservare il rispetto delle libertà fondamentali”, di cui il diritto alla contestazione pacifica “è parte integrante”, ha affermato la portavoce del Commissario UE incaricato delle politiche di vicinato, Stefan Fule. Quanto al Consiglio nazionale per i diritti umani (CNDH), l’organismo governativo recentemente creato dal sovrano Mohammed VI, conserva per il momento il più assoluto silenzio sugli oltraggi patiti dai giovani ribelli.
Il governo marocchino non ha riconosciuto l’utilizzo della forza sui manifestanti (negando la più chiara evidenza, ndt), però ha cambiato il suo giudizio sul Movimento 20 febbraio, ora “manipolato dagli islamisti e dalla sinistra radicale”, come accusa il portavoce dell’esecutivo Khalid Naciri. Lo stesso Naciri continua a ripetere che le riforme già avviate costituiscono per il paese “un’opzione irreversibile”. La tesi dell’infiltrazione nel movimento dei barbuti e dei gauchistes è stata ripresa anche dal consigliere del re Mohamed Moatassim nel corso delle riunioni tenute in questi giorni con i partiti politici dell’arco parlamentare, nell’obiettivo di convincerli (come se ce ne fosse bisogno, ndt) a prendere nettamente le distanze da “questi giovani che servono interessi estranei alla nazione”.
In realtà, le manifestazioni svoltesi negli ultimi due mesi, quasi sempre pacificamente, nelle principali città marocchine hanno visto il ripetersi della stessa formula: le marce sono guidate dai comitati locali del movimento, seguiti dai militanti di sinistra e dai sindacalisti e, in fondo al corteo, dagli islamisti di Giustizia e Carità, una associazione illegale ma tollerata dal regime.
Da domenica 29 maggio, per frenare le contestazioni dei giovani, ai manganelli degli anti-sommossa si sono aggiunte le “contro-manifestazioni”. “Ecco la controffensiva”, titolava ieri in prima pagina il quotidiano indipendente Akhbar Al Youm. Secondo la versione ufficiale, alcuni commercianti si ritengono danneggiati nelle loro attività dalle agitazioni – da sottolineare che la gran parte delle manifestazioni avviene di domenica, quando i negozi sono chiusi – quindi scendono in piazza per chiedere al governo di ristabilire l’ordine. Per esempio, ieri (29 maggio) è arrivata una decina di autobus di fronte alla stazione centrale di Rabat (interessante sapere chi ha pagato e organizzato la “trasferta”, ndt) e i passeggeri si sono radunati di fronte al parlamento (lo stesso luogo dove dodici ore prime un tentativo di sit-in del Movimento 20 febbraio era stato disperso con la solita violenza, ndt) per denunciare, secondo la MAP (l’agenzia stampa di regime, ndt), che “la stabilità economica è minacciata” e che “è ora di mettere fine alle violenze nelle strade”. Come se fossero i giovani a scatenare tali violenze. “Le riforme già ci sono. Basta manifestazioni”, c’era scritto in uno striscione.
Perché, dunque, adesso si reprime quello che prima veniva tollerato? “Il messaggio è chiaro, il regime ci sta dicendo che la ricreazione è finita. Vogliono un ritorno alla loro normalità, in modo che la nuova costituzione (che verrà presentata domani dalla commissione Mannouni, ndt) possa essere annunciata festosamente al pubblico e poi approvata nelle condizioni che le si addicono”, risponde Nizar Bennamate, uno dei volti noti del movimento, che smentisce le accuse delle autorità secondo cui il “20 febbraio” sarebbe passato nelle mani degli islamisti e dei militanti della sinistra radicale (“sono due componenti in mezzo a tante altre, due componenti che restano al loro posto senza nessun tentativo di prevaricazione e che si attengono alle sole rivendicazioni espresse dalla piattaforma del movimento”, precisava Omar Radi, in una conferenza tenuta lo scorso 24 maggio al Centre Jacques Berque di Rabat sulle Origini e prospettive del Movimento 20 febbraio).
Mohammed VI aveva annunciato il 9 marzo una riforma costituzionale che andrà a ridimensionare il suo potere esecutivo (in base alla stessa costituzione il sovrano marocchino è vertice politico, militare e religioso, oltre che “persona sacra e inviolabile”, ndt), incaricando una commissione di sua nomina, diretta dal giurista Abdellatif Menouni, della redazione. Le linee guida della riforma indicate dallo stesso discorso del monarca, tuttavia, risultano insufficienti al movimento, che si è rifiutato di collaborare con la commissione. La nuova costituzione, secondo il “20 febbraio”, dovrebbe essere elaborata da un’assemblea costituente come a Tunisi. Intanto, il ministro dell’Economia Salahedine Mezour ha annunciato a New York durante il fine settimana che il referendum sulla riforma costituzionale verrà celebrato il 1° luglio e il 7 ottobre si terranno le elezioni legislative anticipate. Così si chiuderà probabilmente la transizione democratica in “stile marocchino”.


E’ successo a Casablanca
(29 maggio, quartiere Sbata)














(Grazie ai fotografi presenti sul posto, che hanno fatto pervenire queste immagini nonostante le violenze di cui loro stessi sono rimasti vittime..)

Nessun commento: