Arrêt sur image

martedì 3 maggio 2011

Sahara Occidentale: né referendum né diritti umani

Come ogni anno dal cessate il fuoco firmato nel 1991 tra Marocco e Fronte Polisario, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per esaminare il rapporto del Segretario generale Ban Ki Moon e rinnovare il mandato della MINURSO (la missione ONU per l’organizzazione del referendum in Sahara Occidentale). La risoluzione 1979, approvata all’unanimità lo scorso 27 aprile dai quindici membri del Palazzo di Vetro, ha confermato la permanenza dei circa trecento effettivi già dislocati nella ex colonia spagnola (parte ad ovest del “muro di sabbia” – e mine – eretto dalle forze marocchine, parte nella zona controllata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica) fino al 30 aprile 2012. Tuttavia la realizzazione del referendum – obiettivo dichiarato della missione e primo passo verso l’autodeterminazione del popolo saharawi (nel cammino verso l’indipendenza) – non sembra più essere all’ordine del giorno.
Prevista inizialmente per il gennaio del 1992, la consultazione ha infatti subito sistematici rinvii, fino al definitivo accantonamento sopraggiunto nel 2007, quando Rabat ha sottomesso alle Nazioni Unite il suo “piano di autonomia” per il Sahara Occidentale, prontamente rifiutato dal Polisario e dal fedele alleato algerino. Il Marocco, che dal 1975 ha occupato due terzi della regione assicurandosi una annessione de facto delle “storiche province del sud”, non intende rinunciare alla propria sovranità su Laayoune, Smara e Dakhla, mentre il Fronte di stanza a Tindouf (territorio algerino) continua a sostenere la legittimità della causa indipendentista, portando a supporto delle proprie rivendicazioni la risoluzione ONU 1514 (approvata nel 1960) che riconosce “il diritto dei popoli all’autodeterminazione” e la carta fondativa dell’Unione Africana (1963) che impegna i membri a rispettare “l’intangibilità delle frontiere coloniali”.




Secondo la ricercatrice Khadija Mohsen-Finan (Institut Français des Relations Internationales), “Rabat, proponendo l’autonomia per il Sahara, riconosce implicitamente un’entità saharawi differente da quella marocchina, un’identità nazionale (i saharawi non parlano il darija marocchino ma l’hassani, nda) difesa dal Fronte Polisario e negata dalle autorità alawite per oltre trent’anni. Dunque una vittoria parziale per Tindouf, almeno sul piano simbolico. D’altra parte, sempre secondo il piano di autonomia, gli attributi di sovranità (difesa e relazioni esterne) come pure la gestione delle risorse presenti nel territorio (fosfati, pesca, petrolio?) resterebbero nelle mani del Marocco”.
Dal 2007 un nuovo tavolo di negoziati si è aperto sotto l’egida dell’ONU, ma i dieci incontri promossi dal Segretario generale negli ultimi quattro anni, oltre alle trattative informali ancora in corso a Manhasset (Stati Uniti) et Mellieha (Malta), non hanno portato a nessun risultato concreto. Per Mohamed Abdelaziz, leader del Polisario (nonché presidente della RASD), la proposta di autonomia formulata da Rabat non contempla il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione e l’attuazione del referendum resta la sola via per mettere fine alla contesa: “la risoluzione 3437 dell’Assemblea generale ONU ha definito quella marocchina come una «occupazione militare», di conseguenza la sua presenza nel Sahara Occidentale è illegale”, riferiva nel 2006 Abdelaziz, denunciando lo “statuto di potenza amministratrice” di cui si è fregiata la monarchia alawita a dispetto dei pronunciamenti della comunità internazionale. Oltre ad aver rifiutato la smilitarizzazione della regione prevista dagli accordi del 1991, il Marocco ha integrato unilateralmente il territorio sahariano attraverso una politica di colonizzazione, avviata nel 1975 con la “marcia verde” e proseguita fino ad oggi (in Sahara Occidentale su 300 mila abitanti circa 250 mila sono marocchini), riuscendo ad imporre il proprio controllo da Laayoune fino a Laguira.
Nulla di nuovo sotto il caldo sole del deserto, dunque, o almeno così sembrerebbe. Ma ad uno sguardo più attento, il testo della risoluzione approvata lo scorso 27 aprile, in seguito alle pressioni fatte dalla diplomazia francese sulle istituzioni newyorkesi, nasconde l’ennesima beffa per il popolo saharawi.


“L’ultima colonia”
Al centro del dibattito che ha spinto Ban Ki Moon a rivedere il rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza, non il dubbio sul rinnovo o meno della missione, ma la possibilità di estendere il mandato della MINURSO alla tutela dei diritti umani ed al monitoraggio delle violazioni in tutta la regione (incluso i campi di rifugiati a Tindouf), come normalmente previsto per tutte le spedizioni delle Nazioni Unite. Una richiesta espressamente formulata da Navanethem Pillay, Alto Commissario ONU per i diritti umani, che al paragrafo 119 della relazione inviata al Segretario generale ad inizio aprile sollecitava “la creazione di un meccanismo internazionale effettivo per un controllo continuo, indipendente e imparziale dei diritti dell’uomo” inquadrato dalla stessa MINURSO. Dello stesso avviso il Parlamento europeo e le ong Human Rights Watch e Amnesty International (il cui accesso in Sahara Occidentale continua ad essere ostacolato da Rabat), preoccupate per la recrudescenza repressiva delle autorità marocchine verso la popolazione saharawi.
A Laayoune e Smara, dalla ripresa dell’“intifada” nel 2005 (manifestazioni e sit-in soffocati in maniera violenta), si è registrato un netto incremento degli arresti e dei maltrattamenti all’indirizzo degli indipendentisti locali e degli attivisti della società civile, i membri del Codesa e dell’ASVDH (associazioni saharawi per la difesa dei diritti umani) demonizzati dalla monarchia alawita. Nelle due città di riferimento, i legittimi abitanti della regione vivono di fatto in stato d’assedio, reclusi in veri e propri quartieri-ghetto e costretti con frequenza al coprifuoco. Dall’ottobre 2009 l’accanimento di Rabat ha raggiunto livelli tali da suscitare imbarazzo perfino nelle cancellerie di Washington e Madrid, storiche sostenitrici del Marocco nella question du Sahara assieme all’Eliseo.
Aminatou Haidar in sciopero della fame
Prima l’arresto dei sette del “gruppo Tamek” - tra cui Brahim Dahane, presidente dell’ASVDH - accusati di “alto tradimento” dopo una visita ai campi di Tindouf e subito inviati di fronte al tribunale militare (in seguito “trasferiti” alla giustizia civile e scarcerati lo scorso 14 aprile, ma ancora in attesa di giudizio). Poi l’espulsione di Aminatou Haidar, emblema internazionale della resistenza pacifica all’occupazione nonché presidente del Codesa, respinta alla frontiera per essersi rifiutata di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale e riammessa a Laayoune solo dopo “l’interessamento” di Hilary Clinton e uno sciopero della fame nell’aeroporto canario di Lanzarote durato 32 giorni. In ultimo l’episodio più grave, l’8 novembre scorso, quando le forze di sicurezza hanno aggredito i settemila saharawi che da circa un mese si erano riuniti nel “campo della dignità” di Gdeim Izik (a pochi chilometri dalla capitale sahariana) per protestare contro le difficili condizioni socio-economiche e le vessazioni inflitte dalle autorità marocchine. L’intervento, dopo la distruzione completa dell’accampamento, è proseguito nei giorni seguenti per le strade di Laayoune: oltre ai soldati e alla polizia del regno, hanno preso parte ai rastrellamenti anche “milizie coloniali”, e la città si è subito trasformata in un campo di battaglia (Rabat ha segnalato l’uccisione di undici agenti ed ha aperto un’inchiesta parlamentare sull’accaduto – dai risultati ancora ignoti – mentre almeno due sono i morti accertati tra i manifestanti). Per gli abitanti saharawi “il bilancio è pesante. Centinaia di civili, tra cui donne e bambini, sono stati repressi selvaggiamente, alcuni feriti con colpi d’arma da fuoco (…); trasferiti nei centri di detenzione, sono stati torturati e le donne violentate; le sevizie si sono ripetute perfino negli ospedali, dove il personale medico si è rifiutato di prestare soccorso (…). Le case dei quartieri saharawi sono state prese d’assalto e saccheggiate”. Questa la testimonianza resa da una delle vittime, la vice-presidente dell’ASVDH Djimi Elghalia, durante la 16° sessione del Consiglio ONU per i diritti umani (5 marzo 2011). Un’ulteriore conferma alle denunce di HRW, che nell’inchiesta datata 26 novembre 2010 ha accusato il Marocco di aver fatto ricorso alla forza in maniera ingiustificata e sproporzionata, impedendo l’accesso al territorio ai giornalisti indipendenti e agli osservatori internazionali.

L'accampamento di Gdeim Izik dopo l'intervento delle forze di sicurezza marocchine

“I recenti sviluppi registrati in Nord Africa e Medio Oriente dimostrano l’importanza del rispetto dei diritti umani per il mantenimento della pace e della stabilità”, ricordava il Commissario Pillay nel rapporto confidenziale inviato a Ban Ki Moon, ma la richiesta di un organismo di controllo indipendente sul Sahara Occidentale, respinta in modo categorico dalla diplomazia marocchina e francese, è stata bocciata dal Segretario generale che, nel documento fatto approvare il 27 aprile, si è limitato a sottolineare l’importanza “di migliorare la situazione dei diritti dell’uomo” nella regione. “Da molti anni ormai, dietro le porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, la Francia utilizza il potere di dissuasione conferitole dal diritto di veto per tenere le Nazioni Unite al di fuori di ogni questione che riguardi il rispetto dei diritti umani nel territorio annesso dall’alleato marocchino”, ha riferito recentemente Philippe Bolopion, rappresentante di HRW presso le istituzioni ONU. Una dichiarazione che spiega tanto il rifiuto di Ban Ki Moon, quanto la scarsa volontà dimostrata dalla comunità internazionale di mettere fine ad un’impasse ultratrentennale.
Per opporsi all’estensione del mandato della MINURSO, a Rabat è bastato mettere sul piatto le “riforme democratiche” promosse negli ultimi mesi (commissione reale per la modifica della costituzione, creazione del Consiglio nazionale per i diritti dell’uomo – un organo di stampo governativo), così come la dimostrazione di buona volontà fornita dalla scarcerazione del “gruppo Tamek” e di 22 prigionieri saharawi (detenuti a Laayoune dopo gli scontri di Gdeim Izik), e la promessa di consentire l’accesso nel territorio conteso agli inviati del Consiglio ONU per i diritti umani. Nessuna garanzia effettiva, dunque, che in Sahara Occidentale i diritti e le libertà fondamentali verranno rispettate per davvero; nessun organismo indipendente sarà incaricato di sorvegliare le violazioni compiute dalle forze di occupazione marocchine o gli abusi del Polisario sui rifugiati di Tindouf (un’occasione persa per la monarchia alawita di dare fondamento alle accuse rivolte al Fronte).
Il testo della risoluzione 1979, oltre ad aver ignorato le raccomandazioni dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani e delle principali ong internazionali, ha suscitato la dura reazione dei rappresentanti nigeriano e sudafricano al Consiglio di Sicurezza i quali, pur avendo accordato il rinnovo della missione, non hanno rinunciato ad esprimere le loro critiche al documento prima della votazione. Il delegato di Abuja si è detto deluso dall’atteggiamento del Consiglio nei confronti del Sahara Occidentale, che non gode dello stesso sostegno offerto al Sud Sudan (dove in gennaio è stato votato il referendum per la secessione da Khartoum). Anche l’omologo sudafricano ha parlato di “due pesi due misure”, prima di insistere sulla necessità di “un meccanismo di protezione permanente e credibile per il popolo saharawi” e di ricordare agli altri membri dell’assise che il Sahara Occidentale rappresenta ad oggi “l’ultima colonia del continente africano”.

Per saperne di più sull'origine del conflitto in Sahara Occidentale, la nascita del Fronte Polisario e l'esodo dei profughi saharawi verso l'Algeria, leggi l'articolo Viaggio di sola andata per Tindouf, scritto dal giornalista marocchino indipendente Aziz El Yaakoubi.

5 commenti:

giannitos ha detto...

Non è successo niente a Marrakesh ?

Jacopo G. ha detto...

Sono successe molte cose a Marrakech...mi riservo il diritto di parlarne in seguito, l' "arena" degli analisti "di terrorismo islamico" è già abbastanza satura, oltre che imbarazzante.

giannitos ha detto...

Ciao Jacopo, capisco; pensavo di trovare sul tuo blog, come al solito, se non un'analisi almeno dei riferimenti a quello che si dice in Marocco e sulla stampa estera più attenta.

Anonimo ha detto...

Caro Yacopo come al solito pur stando rabat il tuo blog mi informa di molte più cose sul marocco di quanto non faccia il giornale al-masa2! (di cui trallaltro hanno arrestato rachid nini che era l'unico che scriveva cose interessanti)
aspetto anche io il tuo articolo su gli eventi di marràkech perchè in giro si sentono cose interessanti, che noi italiani (piazzo della fontana etc) conosciamo molto bene....

Redazione Omeganews ha detto...

Se può interessare vi comunichiamo un convegno che si svolgerà il prossimo 10 maggio a roma sul Sahara Occidentale.
Il link per maggiori info:
http://www.omeganews.info/convegno