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lunedì 25 aprile 2011

Marocco: “una rivoluzione urgente e legittima”


Manifestazione a Casablanca, 24 aprile 2011 (foto Othman Essakalli)

A tre mesi dalla prima grande mobilitazione, il Movimento 20 febbraio torna a riempire le piazze del regno alawita al grido “dignità e libertà, democrazia subito”.



Domenica 24 aprile, in oltre cento città del paese, migliaia di persone sono scese in strada, rispondendo all’appello dei giovani dissidenti e delle organizzazioni che li sostengono (oltre ottanta, riunite nel Consiglio nazionale di appoggio al movimento). Secondo i primi dati a disposizione, in 30 mila hanno sfilato a Casablanca, Rabat e Tangeri, mentre una forte affluenza è stata registrata in tutti i centri del Rif (da Al Hoceima a Oujda), nel sud-est (Errachidia) e nel Suss (Agadir), oltre a Fes, Meknes e Marrakech. Ad infoltire le fila del corteo, nella capitale, si è aggiunta per la prima volta (in modo ufficiale) l’Associazione nazionale dei laureati-disoccupati, che ha accompagnato la marcia del “20 febbraio” fino al quartiere popolare Yakoub El Mansour (all’iniziativa ha partecipato anche lo scrittore Abdellatif Laabi, uno dei padri della letteratura marocchina). A Khenifra (Medio Atlante), invece, sono stati i pensionati delle Forces auxiliares (forze di sicurezza alle dipendenze del Ministero dell’Interno) ad organizzare la protesta assieme alle loro famiglie: “siamo costretti a sopravvivere con una pensione di 300 dirhams (meno di 30 euro) al mese, quanto guadagna invece Laanigri (vertice del corpo di polizia, ndr)?”.

Manifestazione a Tangeri, 24 aprile 2011

“Via El Himma (amico ed ex consigliere di Mohammed VI, imprenditore e capo del primo partito presente in parlamento)”, “Majidi (uomo d’affari e consigliere speciale di Mohammed VI) vattene”, “Via Benslimane (da decenni a capo della Gendarmerie royale)”, “Mannouni (presidente della commissione reale incaricata della modifica della costituzione) vattene”, “Ona-Sni (la holding del sovrano, presente in tutti i settori dell’economia e della finanza) deve essere nazionalizzata”. Questi, in sintesi, i manifesti e gli striscioni esposti ieri da Tetouan a Laayoune. La rottura con l’assolutismo, la messa al bando della polizia politica (DST) e il passaggio ad una monarchia parlamentare, oltre alla fine dell’affarismo monarchico e del saccheggio delle ricchezze nazionali operato dall’élite di Palazzo, restano le principali rivendicazioni di un Movimento che dal 20 febbraio scorso ha visto crescere la sua forza, continuando (domenica dopo domenica) a tenere sotto pressione un regime ormai anacronistico. A nulla è valso l’intervento diretto di Mohammed VI per indebolire la portata di una contestazione che ha saputo riunire l’insieme delle forze democratiche e progressiste marocchine. Né la revisione della costituzione “in senso democratico” annunciata il 9 marzo, né la grazia concessa il 14 aprile ai detenuti politici sono bastate a calmare la piazza, che continua a chiedere un “cambiamento vero e profondo, non l’ennesimo ritocco di facciata”.

Manifestazione a Rabat, 24 aprile 2011

Il Movimento 20 febbraio ha rifiutato ufficialmente l’invito della commissione Mannouni ad apportare il proprio contributo ai lavori per la riforma della costituzione, “una commissione priva di legittimità e con un ristretto margine di manovra, il cui obiettivo è conservare lo stato attuale delle cose dietro a concessioni minime”, ricorda Abadila, uno dei coordinatori del movimento nella capitale. “La proposta reale non parla di revisione del sistema di potere assoluto, né della pratica del nepotismo economico. (…) Vuole conservare la centralità del sovrano in tutti gli ambiti di potere e la sacralità della sua persona”, ha scritto l’attivista nell’articolo “La freschezza dell’avvenire di fronte agli ingranaggi obsoleti del passato” (pubblicato dal giornale on-line Lakome). “I membri attivi del Movimento 20 febbraio rifiutano di essere associati ad un progetto di cui non hanno contribuito né alla visione, né al concepimento delle linee guida, e ancora meno alla scelta degli obiettivi da raggiungere. (…) Riformare un sistema profondamente deficitario con la preoccupazione di preservarlo è un grave errore. Il rischio di rigenerare uno statu quo ante servendosi di forze retrograde sarà sempre presente. E’ quello che ha vissuto il Marocco con il nuovo regno (dopo l’ascesa al trono di Mohammed VI nel 1999): Temara al posto di Tazmamart (bagno penale clandestino simbolo degli “anni di piombo” di Hassan II), El Himma al posto di Basri (ministro dell’Interno sotto Hassan II), la SNI al posto dell’ONA (vecchia e nuova holding reale), Majidi al posto di molti altri e, purtroppo, l’intera classe politica attuale che, obbediente e sempre pronta ad allinearsi alle proposte della casa reale, si è sostituita ai partiti di amministrazione dell’epoca di Hassan II”, continua Abadila che alla fine del suo intervento sembra voler lanciare un monito al regime e alle forze conservatrici che ancora lo sostengono. “Il Movimento 20 febbraio resterà con la gente nelle strade e continuerà a farsi sentire nei media che gli danno spazio; andremo nei villaggi, nei mercati, nei quartieri popolari, nelle università e nelle fabbriche! Non ci stancheremo di ripetere che il cambiamento è necessario per andare verso la libertà, la dignità e la giustizia sociale. Ma non siederemo alle tavole dei commessi del potere supremo. Noi siamo i tessitori del futuro, mentre loro vogliono rimanere gli scribi del passato”.
Il prossimo appuntamento lanciato dal Movimento è per domenica prossima, 1° maggio, da sempre giornata di contestazione nei territori del regno alawita.

Manifestazione a Casablanca, 3 aprile 2011.

Di seguito un articolo firmato da una ventina di noti esponenti della società civile marocchina (tra cui l’economista Fouad Abdelmoumni e l’avvocato Abderrahim Berrada), pubblicato dal quotidiano francese Liberation il 22 aprile e ripreso dai siti di informazione indipendente Lakome e Mamfakinch.

Una rivoluzione urgente e legittima

Il sollevamento tunisino e quello egiziano, oltre ai numerosi altri tentativi in corso nello spazio arabo e mediterraneo, hanno sbaragliato regimi caratterizzati dalla corruzione e da una gestione tirannica del potere, oltre che da politiche economiche, sociali e di sicurezza che hanno assoggettato popoli privati dei diritti elementari dell’essere cittadino, in primis la libertà e la democrazia. Il bilancio politico e sociale di questi paesi negli ultimi cinquanta anni è crudele: povertà, disoccupazione, analfabetismo, corruzione, discriminazione di genere, repressione, emigrazione, regressione culturale, diffusione dell’integralismo, dipendenza economica e politica, bavaglio ai media, detenzioni arbitrarie, torture, scomparsa degli oppositori…
Sebbene sia doveroso fare delle distinzioni a seconda delle specificità di ogni paese, la constatazione è sempre la stessa: ci troviamo di fronte alla disfatta cocente dei regimi post-indipendenza. Generazioni intere ne hanno fatto le spese, ma oggi i giovani gridano con determinazione “basta così!” e rivendicano il riconoscimento pieno del loro status di cittadini, il loro diritto inalienabile alla dignità, alla libertà, all’uguaglianza, alla giustizia e alla democrazia.
In Marocco, il regno di Mohammed VI aveva apportato almeno agli inizi qualche barlume di speranza: la cacciata di Driss Basri (tra i principali responsabili della feroce repressione degli “anni di piombo”, ndt); la liberazione dei detenuti politici e il ritorno in patria di Abraham Serfaty (leader del movimento marxista Ilal Amam negli anni settanta, fervido oppositore del regime di Hassan II, prima incarcerato e poi esiliato durante gli anni ’90, ndt); una politica volontaristica in termini di infrastrutture per promuovere lo sviluppo del paese; la riforma del Codice di famiglia che ha portato ad un avanzamento sul piano dei diritti della condizione della donna. Ma, in assenza di cambiamenti profondi in un sistema dove il makhzen (apparato capillare di controllo monarchico, ndt) continua a farla da padrone, tali riforme non sono riuscite ad intaccare le fondamenta assolutiste del regime, che ha ben presto abbandonato la strada dell’apertura. Così sono ricominciati gli arresti e le torture, la stampa indipendente è scomparsa, mentre i giornalisti si sono visti condannare a pene detentive o al pagamento di multe colossali; infine, l’affarismo e l’arricchimento dell’entourage di Palazzo è ripreso a ritmo incessante e con sorprendente voracità. Il messaggio è chiaro: la ricreazione è finita!
Ecco perché, sulla scia di questa “primavera araba”, in Marocco è fiorito il Movimento 20 febbraio, promosso da giovani coraggiosi e pacifici, determinati a conquistare i diritti e le libertà troppo a lungo promessi ma ancora assenti. Il Movimento ha rapidamente radunato attorno a lui le forze progressiste presenti in seno alla società marocchina: le associazioni della società civile (per i diritti umani, altermondialiste e quelle amazigh, ndt), i piccoli partiti di sinistra (extraparlamentare, ndt), organizzazioni femministe e islamiste, tutte allineate al Movimento ed alle sue rivendicazioni. Una forza vigile, vigorosa, compatta e determinata è in marcia. Una forza accorta a non lasciarsi recuperare né dai partiti né dagli islamisti né dalle associazioni che hanno sposato la sua causa. Una forza ben lontana dall’esaurirsi. Al contrario, il Movimento si intensifica di giorno in giorno. Le manifestazioni e i sit-in dello scorso 20 febbraio, come quelle che da allora si susseguono ogni domenica, non sono state che un avvertimento se paragonate all’affluenza delle mobilitazioni del 20 marzo e al seguito che avranno i prossimi appuntamenti in programma (domenica 24 aprile e domenica 1° maggio).
Le promesse di riforma annunciate dal sovrano durante il discorso del 9 marzo hanno aperto una fessura che tuttavia non è riuscita a frenare il Movimento. In effetti, le promesse di una revisione globale della costituzione sono state svuotate di senso dallo stesso Mannouni, presidente – su nomina reale – della commissione incaricata di rivedere il testo, il quale ha assicurato che “solo delle modifiche di forma e limitate saranno apportate alla costituzione”. Una commissione i cui membri, nominati tutti dal monarca, fanno parte già da tempo degli ingranaggi del regime (salvo rare eccezioni). Inoltre, il discorso del 9 marzo non ha risposto alla rivendicazione principale, che vuole il passaggio immediato ad una monarchia parlamentare dove il sovrano regna ma non governa. Non ha affrontato la questione della separazione dei poteri, politico e religioso nel caso specifico, che implicherebbe la fine della Commanderie des croyants, chiave di volta di una monarchia assoluta e di diritto divino come quella costruita ad arte dagli Alawiti. Al contrario, Mohammed VI nel suo discorso ha confermato “la sacralità delle nostre costanti” e dei punti di riferimento “immutabili”. Infine non ha fatto menzione del monopolio del potere politico sugli affari economici, causa della depredazione da parte delle elite del patrimonio nazionale.
La rivoluzione che oggi è in marcia, e la cui rivendicazione centrale resta l’instaurazione di una monarchia parlamentare, si scaglia contro un sistema assoluto e pericoloso. La violenta repressione messa in atto lo scorso 13 marzo, e quelle dei giorni seguenti, hanno dimostrato che la coercizione brutale non farà che aumentare la collera ed il vigore della protesta, con il rischio di sfociare in un confronto aperto fuori dal controllo delle forze in gioco. Il bagno di sangue libico è lì per ricordarci il cammino da non intraprendere.
Per questo è nostra intenzione denunciare tutte le forze conservatrici che cercano di seminare la paura e il caos tra la popolazione. Vogliamo rassicurare coloro che si preoccupano per l’avanzata dell’onda libertaria, ricordando che il Movimento sta aprendo al paese prospettive uniche di rinnovamento e di progresso. Il Marocco ha bisogno di una rottura con il regime che gli è stato imposto, non di un ritocco costituzionale concesso dall’alto. Questa rivoluzione vuole raggiungere il suo obiettivo. Senza violenza ma in tempi ragionevoli. Ostacolarla, significherebbe esporre il paese a tutte le derive possibili. In tali circostanze storiche le direzioni dell’USFP e del PPS (Unione socialista delle forze popolari e Partito del progresso e del socialismo, formazioni di sinistra al governo che negli ultimi quindici anni hanno assunto toni sempre più conservatori, ndt), pur logorate da anni di servilismo, dovrebbero approfittare delle mobilitazioni ed appoggiarle, avviando la loro rivoluzione interna, per evitare il distacco definitivo dalla gioventù marocchina e dalle loro stesse basi. La rivoluzione in corso può ancora essere collettiva. Il tempo della sudditanza è ormai finito ed è cominciato quello della democrazia e della dignità.

3 commenti:

Jacopo G. ha detto...

Oltre ottocento mila persone hanno preso parte alle manifestazioni del 24 aprile scorso, lo ha annunciato il Consiglio nazionale di appoggio al movimento 20 febbraio (per la MAP, l'agenzia stampa marocchina, non erano più di 35 mila....).
Il popolo Marocchino vuole il cambiamento, al contrario di quanto i media occidentali, che continuano a parlare di "rivoluzione del re", ci stanno facendo credere..

giannitos ha detto...

Jacopo, dove sei ?

Jacopo G. ha detto...

Mi trovo a Rabat, dove vivo ormai da alcuni mesi...