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venerdì 21 gennaio 2011

Il regime marocchino orfano di Ben Ali

Il seme della rivoluzione tunisina sembra espandersi ai paesi vicini come l’Egitto e l’Algeria. E in Marocco cosa sta succedendo? All’apparenza tutto resta tranquillo, forse troppo tranquillo, come spiega la giornalista Zineb El Rhazoui (ex Journal Hebdomadaire) nella breve analisi pubblicata in Voxmaroc, un blog di informazione indipendente creato dalla stessa Zineb e da Ali Amar (fondatore ed ex direttore de Le Journal Hebdomadaire).



Il regno alawita sembra immerso in una calma “precaria” dal 14 gennaio scorso. Quel venerdì sera non pochi marocchini hanno festeggiato la caduta del despota di Cartagine nei bar di Casablanca o Rabat, ma le dimostrazioni di gioia, pur sincere, non sono andate oltre. Il makhzen incombe. Il giorno prima della fuga del dittatore, decine di attivisti avevano organizzato un sit-in di solidarietà popolare di fronte all’ambasciata tunisina. Sono stati dispersi a colpi di manganello dalla polizia di Mohammed VI. Al momento della partenza di Ben Ali gli stessi attivisti sono ritornati, vittoriosi, davanti all’ambasciata, ma questa volta a riceverli c’erano solo un pugno di agenti dall’aspetto affabile. E’ evidente che la rivoluzione del gelsomino non è stata ben accolta dalle autorità marocchine. Nessuna dichiarazione ufficiale del governo, nessun partito politico ha osato pronunciarsi e, salvo rare eccezioni, quello che resta della stampa nazionale ha deciso di voltare lo sguardo altrove. Le tre televisioni marocchine, quanto a loro, hanno preferito concentrare i loro telegiornali sulle attività quotidiane del monarca, consuetudine ininterrotta dall’epoca di Hassan II.
Sarà la quiete che preannuncia la tempesta ? La paura ben dissimulata degli ufficiali marocchini sembrerebbe avallare questa ipotesi, dal momento che in Marocco il regime Ben Ali era preso a modello. Al momento dell’ascesa al trono nel luglio 1999 Mohammed VI, giovane sovrano in cerca di legittimazione, desideroso di fornire un’immagine di cambiamento, aveva parlato di “nuovo concetto di autorità” per rompere con il regime di polizia istituito dal padre negli anni precedenti. Ma gli attentati islamisti del 16 maggio 2003 a Casablanca hanno segnato una svolta nella nuova politica marocchina appena instaurata. Il re ha annunciato in un discorso divenuto celebre “la fine dell’era lassista”. Da allora il regime marocchino ha assunto una sembianza decisamente “benaliana”.
Come in Tunisia, il modello marocchino ha scommesso su uno sviluppo economico sbrigativo, sull’apertura dei mercati, per mascherare una netta stretta securitaria all’interno del paese. Sono stati chiusi giornali e associazioni, ma poco importa finché le grandi catene commerciali e le imprese internazionali aprono le loro porte sull’economia marocchina. Come in Tunisia, il monarca e la sua entourage fanno la parte del leone in questo sviluppo economico di facciata, mosso dalla voracità di una casta al servizio di sua maestà che approfitta di un clima assai propizio per gli affari di famiglia. D’altronde, il disagio del regime marocchino di fronte alla caduta dell’alleato tunisino può essere spiegato anche dagli oscuri legami economici presenti tra i due paesi maghrebini. La banca marocchina Attijariwafabank, controllata dalla holding reale ONA/SNI, aveva incorporato la Banque du Sud, una banca privata tunisina presieduta da Sakhr El Materi, genero di Ben Ali. Questo controverso personaggio si è così direttamente associato a Mohammed VI, tanto che qualche mese fa è stato accolto con tutti gli onori in Marocco, dove la sua società (che si occupa della vendita di auto) sarà la prima impresa straniera ad essere quotata nella borsa di Casablanca, permettendogli così di trasferire capitali nel regno. Pertanto, se la Francia ha annunciato il congelamento dei conti bancari della famiglia Ben Ali, il Marocco si è guardato bene dal farlo.
Come in Tunisia, vi è qualcosa di marcio nel regime di Mohammed VI. Ben prima del gesto compiuto da Mohamed Bouzizi, i diplomés-chomeurs marocchini hanno scelto di darsi alle fiamme, in più di un’occasione, nell’indifferenza generale. Dal momento dell’ascesa al trono del nuovo re, si sono registrate rivolte a Sefrou, Sidi Ifni, Al Hoceima e, recentemente, a Laayoune, represse sistematicamente con la violenza. Perché questi episodi non hanno mai scatenato una rivoluzione? Perché Mohammed VI è riuscito a negoziare una parvenza di transizione grazie a sottili concessioni nel campo dei diritti e delle libertà. Ma queste, lontano dall’aver inserito il Marocco nei binari della democrazia, si stanno restringendo a mano a mano che il sovrano acquista sicurezza e controllo sulle élites del paese. A farne le spese negli ultimi mesi sono state la stampa indipendente, l’opposizione politica, la società civile e le libertà individuali nel loro complesso. Se queste valvole di sfogo, già limitate in partenza, continueranno ad essere ridotte c’è il rischio che il coperchio del regime venga sollevato, come successo nella vicina Tunisia.
(20 gennaio 2011)

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