Arrêt sur image

mercoledì 28 luglio 2010

“Un mestiere ad alto rischio”

Come più volte sostenuto dalle ong internazionali che difendono i diritti dell’uomo, in Tunisia la professione di giornalista rimane “un mestiere ad alto rischio”. L’arresto del reporter Fahem Boukadous, avvenuto il 15 luglio scorso, ne è l’ennesima conferma.

In Tunisia chiunque osi criticare le autorità o difendere i diritti dell’uomo si trova in una situazione di pericolo. I militanti e le ong che difendono i diritti umani, così come gli avvocati e i giornalisti, sono nel mirino del regime. Non possono dar vita ad associazioni indipendenti senza temere l’ingerenza o l’accanimento della burocrazia tunisina. Spesso sono oggetto di provvedimenti giudiziari a seguito dei quali vengono rinchiusi in carcere sulla base di false accuse montate ad hoc. Gli amici, i familiari, perfino i loro bambini sono vittime di continue vessazioni. Alcuni hanno perduto il lavoro. I loro uffici e le loro case vengono perquisiti e saccheggiati dalle forze di sicurezza. Sono seguiti costantemente, sottoposti ad una sorveglianza opprimente. I loro telefoni vengono intercettati, i collegamenti internet sono sotto controllo e le mail piratate o bloccate. I maltrattamenti e le violenze fisiche sono compiuti dai poliziotti o dagli agenti dei servizi segreti su ordine delle stesse autorità. La persecuzione è permanente: ostacola gli attivisti nella loro azione in favore dei diritti dell’uomo e gli impedisce di avere una normale vita privata. Con il ricorso a simili espedienti, le autorità vogliono far sapere a tutti coloro che vivono in Tunisia che è meglio riflettere due volte prima di esprimere una critica o di schierarsi in difesa dei diritti umani.



Questa la nota introduttiva del rapporto “Tunisie. Des voix indépendantes réduites au silence”, pubblicato da Amnesty International il 13 luglio 2010. Il documento accusa in modo chiaro le autorità tunisine di far ricorso ad ogni mezzo a disposizione, legale e non, pur di mettere a tacere le voci critiche che si levano all’interno del paese. I timori espressi dalla ong hanno trovato l’ennesima conferma appena 48 ore dopo la diffusione del rapporto, quando il giornalista indipendente Fahem Boukadous, corrispondente del canale satellitare Al Hiwar Ettounsi, è stato arrestato nei pressi dell’ospedale Farhat Hached di Susse. “Dovevamo ritirare i risultati di alcuni esami, quando quattro poliziotti in borghese hanno chiesto a mio marito di seguirlo per un breve controllo”, racconta la moglie Afef dalle colonne del Nouvel Obsevateur. Da allora né gli avvocati né i familiari hanno più saputo niente di lui.
Il 6 luglio scorso Fahem Boukadous era stato condannato a quattro anni di reclusione dalla Corte d’appello di Gafsa per “partecipazione ad intesa criminale e diffusione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico”. Un processo iniquo, speditivo e unilaterale, concluso in gran fretta senza la presenza dell’accusato e senza che la difesa abbia potuto beneficiare del diritto di parola. Il giornalista non era in aula al momento del giudizio, poiché ricoverato da alcuni giorni all’ospedale di Susse in seguito al sopraggiungere di una grave crisi respiratoria. Alle autorità è bastato attendere le dimissioni del paziente per dare esecuzione alla sentenza., Ma il verdetto emesso dal tribunale, secondo l’avvocato Rida Ridaoui, “costituisce una grave infrazione alle procedure del Codice penale”, che prevede il rinvio del processo quando l’imputato non può essere presente all’udienza a causa del suo stato di salute.
“Se lasciando l’ospedale sarò incarcerato, non entrerò in una cella ma in una tomba”, ha scritto Boukadous in una lettera aperta rivolta all’opinione pubblica internazionale. Da venti anni malato di asma e affetto da crisi polmonari improvvise, il giornalista tunisino aveva lanciato un appello poche ore dopo il pronunciamento della corte, mentre si trovava ancora ricoverato a Susse. “La promiscuità della prigione, la sporcizia, l’umidità, il calore opprimente dell’estate e il fumo passivo che sarei costretto a respirare in quelle minuscole gabbie sovraffollate non faranno che aggravare la mia situazione”.

“Un’ingiustizia nell’ingiustizia”
Le accuse mosse all’indirizzo di Boukadous fanno riferimento agli eventi accaduti nel 2008 a Redeyef, un bacino minerario situato nella regione di Gafsa, dove negli ultimi anni il tasso di disoccupazione è cresciuto di pari passo alla modernizzazione degli impianti e all’aumento vertiginoso delle esportazioni. La popolazione locale, giudicando fraudolenti i risultati del concorso di assunzione indetto dalla Compagnia dei Fosfati, si era ribellata alla corruzione e alle pratiche clientelari in voga nell’amministrazione tunisina, chiedendo nuovi posti di lavoro e più trasparenza. La zona fu invasa dalle forze di sicurezza e gli scioperi, protrattisi per settimane, soffocati nel sangue: alla fine vennero uccisi tre manifestanti (un quarto morì poche settimane più tardi per le lesioni riportate al midollo spinale). Fahem Boukadous, inviato di Al Hiwar Ettounsi, era uno dei rari giornalisti presenti al momento del sollevamento (assieme a Gabriele Del Grande, autore dello splendido reportage “Tunisia: la dittatura a sud di Lampedusa”, pubblicato in fortresseurope.blogspot.com). Le sue immagini, che documentano gli scontri e la repressione violenta operata da esercito e polizia, hanno fatto in poco tempo il giro del mondo, grazie alla diffusione su Youtube e Dailymotion. In Tunisia invece non sono mai andate in onda.
Stando alle accuse del regime, il corrispondente di Al Hiwar non sarebbe affatto un giornalista, bensì un elemento sovversivo coinvolto nella rivolta e condannato dunque per “reati di diritto comune che non hanno niente a che vedere con la sua professione”. Il tribunale di primo grado e poi la corte d’appello l’hanno riconosciuto colpevole di “associazione a gruppo criminale”, del danneggiamento di beni pubblici e privati, oltre che del ferimento di alcuni ufficiali di polizia in seguito al lancio di bottiglie incendiarie. Ma per Hassiba Hadj Sahraoui, responsabile dell’area Maghreb di Amnesty International, il processo contro Boukadous non è stato altro che “una farsa grottesca, un’ingiustizia nell’ingiustizia”. I suoi difensori, infatti, non hanno mai potuto convocare testimoni, si sono visti negare il diritto al controinterrogatorio e nell’ultima udienza sono stati totalmente esclusi dal dibattimento. “Fahem Boudakous è un detenuto di opinione, finito agli arresti per aver esercitato pacificamente il suo diritto alla libertà di espressione”, ha dichiarato la responsabile nel comunicato diffuso in rete dalla ong. Un parere condiviso da Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières, che aggiunge: “questo verdetto è l’ennesima decisione arbitraria presa dal regime di Ben Ali all’indirizzo di coloro che disturbano il suo potere. Una decisione evidentemente politica, che condanna un giornalista per aver esercitato il proprio mestiere in maniera indipendente”.
Contro l’arresto del reporter si è subito schierato Taoufik Ben Brik, poeta, romanziere e giornalista, considerato uno dei principali oppositori al palazzo di Cartagine. “Fahem, tu sei il mio fratello di latte e il mio cavallo di battaglia”, ha scritto Ben Brik, uscito di prigione il 27 aprile scorso dopo sei mesi di reclusione. La sua colpa, aver criticato il presidente tunisino nei giornali francesi in occasione della campagna elettorale (ottobre 2009) che ha incoronato Zine El Abdine Ben Ali per la quinta volta consecutiva. Qualche settimana dopo il suo arresto era stata la volta di Zouhair Makhlouf, altro giornalista, condannato a tre mesi di carcere e al pagamento di 3 mila euro di multa per aver realizzato un reportage sulle condizioni di lavoro nella zona industriale di Nabeul (50 km a sud di Tunisi).

La persecuzione nei confronti dei dissidenti, dei giornalisti e dei militanti per i diritti dell’uomo è una realtà ormai consolidata in Tunisia. Amnesty International ritiene che questi attacchi siano la conseguenza diretta delle leggi e della strategia politica delle autorità, che vogliono ridurre al silenzio le rare voci che ancora continuano ad esprimersi in maniera libera e indipendente.
Dal rapporto di Amnesty International “Tunisie. Des voix indépendantes réduites au silence”. (Traduzione del paragrafo dedicato alla libertà di espressione)

Le autorità tunisine esercitano uno stretto controllo sui media. La maggior parte degli organi di stampa o dei canali radio appartengono allo Stato o a personalità vicine al governo. I giornali dei partiti politici di opposizione, invece, sono privati del denaro pubblico, una pratica in contrasto con la legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici. I caporedattori e i giornalisti subiscono continue intimidazioni. I giornali indipendenti che pubblicano articoli critici nei confronti delle autorità o che denunciano la corruzione vengono sequestrati e distrutti. I corrispondenti stranieri che cercano di documentare la repressione dell’opposizione politica e dei militanti per i diritti umani si vedono vietare l’ingresso nel paese.
Il Codice penale e il Codice della stampa contengono disposizioni formulate in modo vago che puniscono come infrazione penale “la diffusione di notizie false atte a turbare l’ordine pubblico” (art. 49 del Codice della stampa) e “l’incitamento alla ribellione” prodotto attraverso discorsi pubblici, striscioni, manifesti e pubblicazioni (art. 121 del Codice penale). Anche il reato di diffamazione viene definito in modo vago e ampiamente interpretabile nell’art. 245 del Codice penale e nell’art. 50 del Codice della stampa. Mentre l’art. 121 (ter) del Codice penale proibisce la distribuzione, la vendita e l’esposizione di volantini “che possano nuocere all’ordine pubblico o ai buoni costumi”.
Quei giornalisti che rivolgono critiche al governo sono spesso condannati sulla base di accuse inventate e inverosimili, o diventano oggetto di persistenti vessazioni e intimidazioni. Possono perdere il lavoro da un giorno all’altro o vedersi relegati a svolgere mansioni secondarie. Per loro è di fatto impossibile lavorare nei media nazionali. Nel caso in cui siano ingaggiati dai media stranieri, difficilmente si vedono rinnovato l’accredito stampa oppure si vedono sistematicamente negato il permesso di filmare e trasmettere immagini.

Il 27 gennaio 2009 alcuni poliziotti in borghese hanno circondato i locali di Radio Kalima, che aveva iniziato la messa in onda via satellite solo 24 ore prima. Dopo un blocco durato tre giorni, i locali della radio sono stati chiusi. Gli ufficiali hanno posto i sigilli e sequestrato tutti i materiali. Sihem Ben Sedrine, attivista per i diritti umani e caporedattrice di Radio Kalima, è oggetto di una inchiesta per aver utilizzato una frequenza radio senza autorizzazione. Durante il blocco dell’emissione sono stati segnalati numerosi casi di maltrattamenti e intimidazioni. Naziha Rejiba, conosciuta con il nome di Oum Ziad, è una giornalista, co-fondatrice di Radio Kalima e attivista per i diritti dell’uomo. Da anni è vittima di atti intimidatori e maltrattamenti. Alcuni suoi articoli sono stati censurati e i giornali su cui erano pubblicati sono stati sequestrati. Per le autorità tunisine si trattava di notizie mendaci.
Nel novembre 2009 Taoufik Ben Brik, giornalista conosciuto per le sue posizioni critiche nei confronti del governo, è stato condannato a sei mesi di prigione sulla base di prove prefabbricate e false testimonianze. E’ stato accusato di aggressione, distruzione di beni altrui, offesa ai buoni costumi e diffamazione. Ben Brik ha sempre negato ogni imputazione, spiegando che un tale accanimento era dovuto in realtà alle sue critiche rivolte al regime. E’ stato liberato dopo aver scontato l’intera pena.

I partner internazionali della Tunisia non hanno mai denunciato, fino a questo momento, la strategia del regime volta a mettere a tacere ogni minimo dissenso. L’Unione Europea e gli Stati Uniti continuano a confidare nel discorso ufficiale promosso da Tunisi, che descrive il proprio governo come un accanito promotore del rispetto dei diritti umani. I rapporti di Amnesty International che censiscono le gravi violazioni dei diritti dell’uomo prodotte nel paese vengono sistematicamente ignorati dagli Stati che intendono rinforzare i propri legami commerciali e la cooperazione in materia di sicurezza con la Tunisia. Se questi governi non inizieranno ad esercitare una vera pressione sulle autorità tunisine, affinché risanino il loro bilancio in materia di diritti umani, la persecuzione contro gli attivisti, gli oppositori e i giornalisti indipendenti continuerà indisturbata.
Amnesty International – Luglio 2010

Testimonianze:
“Ho scelto la professione di giornalista per mettermi al servizio della libertà di espressione, per amore della verità e dell’integrità. Sono disposto ad assumermi i rischi di questa scelta e a percorrere lo stesso cammino di coloro che mi hanno preceduto, con altrettanta audacia e altrettanto coraggio. I processi iniqui e le condanne non riusciranno a dissuadermi, anche se in gioco c’è la mia vita. Sono pronto a sacrificarla sull’altare della libertà e della democrazia”.
(Fahem Boukadous, 10 luglio 2010)

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