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mercoledì 26 maggio 2010

Zahra Boudkour torna in libertà

Alle otto e trenta di mattina del 15 maggio 2010 la più giovane detenuta del Marocco, Zahra Boudkour, è uscita dal carcere di Ben Guerir dopo due anni di reclusione. Ad attenderla fuori dalla prigione, oltre ai parenti, ci sono i compagni della giovane militante, lo stato maggiore dell'AMDH al completo e a alcuni giornalisti. La carovana poi si è diretta a Zagora, città natale di Zahra, dove le celebrazioni hanno coinvolto tutti gli abitanti della zona.

Zahra Boudkour fuori dal carcere di Ben Guerir


Articolo scritto da Aziz El Yaakoubi e Jacopo Granci per Ossin (Osservatorio internazionale dei diritti)

La città di Zagora rende omaggio al gruppo di Zahra Boudkour

La città di Zagora ha riservato un’accoglienza senza precedenti alla militante Zahra Boudkour e ai suoi compagni. Ritorno su una vicenda che ha permesso al movimento studentesco di coinvolgere tutte le frange della società marocchina. Per la prima volta nella sua storia.

Sabato 15 maggio, sono quasi le 21.30. L’intera città di Zagora è presente all’appuntamento. Nessuno se l’è sentita di restare a casa. I clacson delle auto si mescolano alle grida degli abitanti e agli youyou delle donne. E’ il momento di festeggiare. “Ci sono le elezioni”, è quanto riferisce un bambino di circa sei anni, avvicinato lungo il marciapiede. Il piccolo non ha tutti i torti: solamente i notabili che concorrono alle elezioni legislative hanno i mezzi per mobilitare la città in questo modo. A colpi di milioni di dirham, ovviamente. Ma questa sera è tutto diverso. Le strade sono invase dai militanti, che assieme al resto degli abitanti manifestano una gioia del tutto spontanea. Zahra Boudkour, la più giovane e celebre detenuta marocchina, ha appena lasciato la prigione, assieme ad altri sette compagni, dopo aver scontato due anni di reclusione. Fin dai primi villaggi seminati lungo la valle del Draa, passando per Ouarzazate, Zagora, Tagounite et M’hamid Lghezlane, l’intera regione si è mobilitata per il suo ritorno a casa. “E’ la prova che la famiglia Boudkour ha un gran peso nella zona. Le organizzazioni della sinistra radicale, da sole, non sarebbero mai riuscite a smuovere una folla simile”, commenta un membro della sezione locale dell’AMDH (l’Associazione Marocchina per i Diritti dell’Uomo).
L’appartenenza tribale e le correnti politiche hanno fatto fronte comune. E tutti hanno risposto presente. Sparite le bandiere nazionali, per le strade sventolano solo gli stendardi comunisti. Via le foto dei sovrani alawiti, sostituite dai ritratti di Mao, Lenin e Che Guevara, che spuntano un po’ dappertutto in mezzo alla folla. Per accogliere questa marea di gente, le famiglie degli studenti e il Comitato di sostegno (formato dall’AMDH, dal partito marxista Annahj Addimocrati, l’ong Attac e i sindacati locali) avevano allestito delle tende caidali al centro della città. Ma le autorità non hanno gradito e, alla vigilia dei festeggiamenti, “il governatore assieme ai suoi gendarmi hanno smontato tutto”, riferisce il presidente della sezione locale dell’AMDH. Alla fine gli organizzatori sono riusciti a negoziare una soluzione intermedia e un piccolo palco è stato montato nel viale principale di Zagora. Tutte le organizzazioni sindacali e le associazioni per i diritti umani hanno approfittato dell’occasione per far sentire la loro voce.

“Gli anni di piombo non sono finiti”
Zahra Boudkour resta discreta. “Non avrei mai immaginato che degli studenti potessero ricevere un tale omaggio. Ho difficoltà a trovare le parole giuste per esprimere la mia gioia”, confessa con voce tremante prima di salire sul palco. E’ lei la star della città, il suo orgoglio. L’ingresso sulla tribuna è accompagnato da cori e inni che invocano un cambiamento di regime. Bandiera falce e martello in mano, Zahra fa un segno ai compagni. La folla si accende. Un drappello di ufficiali delle forze di sicurezza, intanto, segue lo spettacolo a una decina di metri di distanza. “Abbasso il Makhzen! Abbasso la “nuova era”! Gli anni di piombo non sono finiti!”, scandisce la città ad una sola voce.


Il presidente del Comitato di difesa prende poi la parola. “Abbiamo vissuto dei momenti difficili dopo l’arresto di questi studenti, i nostri studenti, i nostri figli. Loro hanno tenuto duro e noi abbiamo fatto lo stesso. Oggi è un gran giorno per il Marocco”. In seguito è il turno del presidente della sezione locale dell’AMDH: “Noi denunciamo apertamente le violazioni dei diritti dell’uomo di cui questi studenti sono rimasti vittime. Noi denunciamo la tortura che ancora imperversa nei commissariati. I racconti di Zahra, di Jamili e degli altri resteranno impressi nella nostra memoria, non dimenticheremo mai quello che hanno vissuto nel tristemente celebre commissariato di piazza Jamaa al-Fna a Marrakech”. La folla, infiammata, risponde alla sua arringa: “Uccideteli, giustiziateli, i figli del popolo li rimpiazzeranno!”. Un centinaio di metri più lontano, i poliziotti controllano le vie laterali che si perdono all’interno della città. Quaderno alla mano, annotano le targhe delle macchine parcheggiate attorno al luogo del comizio. Avvicinati qualche minuto più tardi, uno di essi spiega: “deve sapere che nessuna autorizzazione è mai stata chiesta per questo tipo di evento. Se dovesse succedere qualcosa, gli organizzatori saranno gli unici responsabili”. Riguardo alle targhe delle macchine segnalate, l’ufficiale mantiene un atteggiamento evasivo: “è solo una procedura di routine”, butta lì prima di chiudere la discussione e risalire nella vettura di ordinanza.
La cerimonia era cominciata al mattino, di fronte alla prigione della cittadina di Ben Guerir, dove Zahra ha trascorso gli ultimi mesi di detenzione. Al momento della liberazione, la giovane militante ha trovato dei “pezzi da novanta” ad accoglierla. Khadija Ryadi e Abdellhamid Amine dell’ufficio centrale dell’AMDH, il giornalista marocchino Ali Lmrabet (bandito dalla stampa nazionale per un periodo di dieci anni su decisione dei giudici), alcuni membri della segreteria nazionale di Attac e numerosi militanti del partito Annahj Addimocrati. Appena uscita dalla prigione Zahra si unisce ai canti rivoluzionari intonati dai compagni. Un fatto che le guardie carcerarie non hanno particolarmente apprezzato. Un battibecco tra alcuni secondini e il giornalista Ali Lmrabet viene subito frenato dal saggio Abdelhamid Amine. L’atmosfera festosa si riscalda….

Storia di un’intossicazione…
La liberazione della giovane militante mette fine ad una triste vicenda durata due anni. Zahra e suoi compagni hanno totalizzato 24 anni di carcere, inflitti dal tribunale di Marrakech dopo 14 mesi di detenzione preventiva e un processo interminabile. Quattro anni di prigione e 60 mila dirham di multa per Mourad Chouini, due anni invece per Zahra Boudkour, Othman Chuini, Youssef Mechdoufi, Mohammed El Arbi Jaddi, Khalid Mehtah, Abdellah Errachidi, Alae Ederbali, Mohamed Jamili, Youssef El Allaoui et Jalal Quotbi. Le condanne sono state confermate in appello soltanto il 30 aprile scorso, ossia dopo due anni dall’arresto.
Il “gruppo degli undici” era finito in carcere in seguito agli eventi accaduti il 14 e 15 maggio 2008 all’Università Cadi Ayyad di Marrakech. Gli studenti avevano protestato contro l’intossicazione di alcuni colleghi al ristorante del campus universitario. La manifestazione era degenerata dopo l’intervento delle forze dell’ordine. Delle rivolte erano scoppiate in tutto il perimetro dell’università e alcuni studenti avevano appiccato il fuoco nelle camere del campus. Ma, dopo l’arresto di una quarantina di universitari, solo gli undici in questione sono stati portati di fronte al giudice. Khalid Miftah racconta, in una lettera pubblicata qualche mese dopo l’arresto, il suo passaggio nel commissariato di piazza Jamaa al-Fna: “(…) Mi hanno legato le mani dietro la schiena e poi cinque agenti in borghese hanno cominciato a colpirmi. Pugni al volto, negli occhi, e calci nei testicoli…. Una volta arrivati nel celebre commissariato di Jamaa al-Fna, sono stato spogliato e gettato a terra… Non riuscivo a vedere più niente… Udivo solo le grida dei miei compagni…”. L’appuntamento ora è all’Università di Marrakech, alla ripresa dei corsi. “Continueremo a batterci e lo faremo in modo ancor più radicale!”, rilancia Zahra Boudkour.

Zahra Boudkour esce dal carcere

Articolo pubblicato da Jules Crétois in Tel Quel n. 425, 22-28 mai 2010.

Sulla strada della libertà

Zahra Boudkour, la più giovane detenuta politica del regno, è tornata in libertà assieme a otto suoi compagni. Tel Quel ha seguito la carovana che dalla prigione di Ben Guerir l’ha riportata a Zagora, la sua città natale.

Ben Guerir: una base militare, una prigione e una detenuta politica, la più giovane e di certo la più celebre del Marocco. Sabato 15 maggio alle 8 e 30 del mattino Zahra Boudkour, 23 anni, esce di prigione accolta da applausi e canti rivoluzionari, dopo due anni di reclusione. Finita in carcere il 14 maggio 2008 a Marrakech, durante una manifestazione promossa dagli studenti universitari di Cadi Ayyad, Zahra ha atteso a lungo il giudizio del tribunale, che alla fine l’ha condannata per possesso di armi, insulto a pubblico ufficiale e costituzione di banda armata.
Un’odissea giudiziaria accompagnata da uno sciopero della fame, che ha richiamato sul caso l’attenzione delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti dell’uomo. Ai compagni di lotta e agli amici della facoltà si sono aggiunti il presidente dell’AMDH (l’Associazione marocchina per i diritti dell’uomo), Khadija Ryadi, e l’umorista Bziz per accogliere la giovane militante, che al momento dell’uscita si getta tra le braccia della sorella Ghalia. Di fronte al cancello della prigione Zahra, emozionata, ringrazia i presenti: “Non trovo le parole… ho trascorso due anni in galera per le mie idee e credo non sarà né la prima volta né l’ultima. La prigione non mi ha cambiata, la lotta continua”. Pur indebolita dai due anni di reclusione, tiene vivi i suoi ideali. Prima di rispondere alla domande dei presenti, Zahra insiste su un punto fondamentale: “Non sono l’unica vittima di questa ingiustizia. In undici siamo finiti in arresto. Il mio pensiero va agli altri compagni”.
Dopo le celebrazioni di rito il gruppo si divide e un corteo di auto imbocca la strada in direzione sud, obiettivo Zagora. Il convoglio fa tappa a Marrakech dove raccoglie Mohamed Jamili e Alaa Derbali, due degli undici prigionieri del “gruppo Boudkour”, anch’essi liberati in mattinata. Giovani studenti basistes (movimento studentesco marxista, ndt) aspettano in una stazione di servizio per aggregarsi alla carovana. Secondo uno di loro, “sarebbe impensabile non celebrare la liberazione di Zahra, ormai un simbolo a Cadi Ayyad”. La giovane militante venne arrestata proprio all’interno dell’università di Marrakech, prima di essere trasferita nel commissariato degli orrori, in piazza Jamaa al-Fna, dove fu vittima di percosse, minacce e insulti. Lungo la strada, i membri di Annahj Addimocrati raggiungono la colonna di auto che si infittisce a poco a poco. Al tramonto il convoglio si arresta ad Agdz, città conosciuta per aver ospitato une delle prigioni più lugubri dell’era Hassan II. I militanti formano un cerchio e intonano inni rivoluzionari accanto ai resti delle mura di cinta della fortezza. Intanto Ghalia, la sorella di Zahra, riceve una chiamata: a Zagora il comitato di accoglienza è pronto.

La città accoglie la sua figlia
L’arrivo è travolgente. Qualche chilometro prima dell’ingresso a Zagora, decine di auto attendono la carovana. Gli abitanti si precipitano verso Zahra per salutarla. Bandiere palestinesi e sovietiche sventolano ai lati della strada, due ali di folla accompagnano la fila di macchine che penetra lentamente in città, sotto un delirio di clacson e youyou. Raggiunto il palco, allestito per l’occasione nella via principale, il corteo si raccoglie. Infiammati dall’entusiasmo degli abitanti, gli oratori non sembrano avere peli sulla lingua: nei loro discorsi accusano apertamente il regime, responsabile dei costi eccessivi dell’istruzione e della violenza gratuita della polizia. I presenti, intanto, sollevano i ritratti di Guevara, Lenin, Mao e Abderrazzak al Gadiri, lo studente ucciso nel 2008 durante una manifestazione.
Quando Zahra sale sul palco sventolando una bandiera rossa, gli applausi si mescolano ai canti, mentre una fitta schiera di pugni chiusi si alza verso il cielo. Gli slogan, scanditi dai militanti più navigati, vengono ripresi dai bambini e dalle donne della città accorsi attorno alle tribune: “gli anni di piombo sono tornati!”, “nuova era, nuove torture!”. L’intera Zagora sembra aver maturato una coscienza politica grazie all’affaire Boudkour. Una vicenda, tuttavia, che attende ancora la sua conclusione definitiva: se nove membri del “gruppo Boudkour” sono stati liberati questo fine settimana, altri due, Mourad Chouiri e Khalid Miftah, restano ancora detenuti nelle prigioni di Essaouira e Kalaat Sraghnat (rispettivamente per uno e due anni).
Attorno alla piazza i poliziotti mantengono un atteggiamento discreto: gli ufficiali si limitano ad osservare da lontano, sebbene l’assembramento non abbia ricevuto l’autorizzazione delle forze dell’ordine. Verso mezzanotte, infine, la folla si disperde accompagnata dal suono dell’oud. I festeggiamenti pubblici lasciano allora il posto ad una cerimonia più intima: amici e parenti si ritrovano sotto una grande tenda piazzata di fronte alla casa di Moulouda Boudkour, la sorella maggiore che Zahra, orfana di madre, chiama “mamma”. Abiti tradizionali di rigore per onorare la cena a base di dromedario, sotto lo sguardo riflessivo del capo famiglia Khalifa Boudkour. Non lontano dalla tenda le donne in haik cantano tutte attorno a Zahra, che assapora i primi istanti del ritorno in famiglia. Finalmente libera.

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