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giovedì 18 marzo 2010

Il sacro e il profano

Di seguito l’articolo scritto da Aziz El Yaakoubi in risposta alle accuse lanciate dal regime e dall’intera classe politica marocchina all’indirizzo del MALI (Movimento Alternativo per le Libertà Individuali). Per saperne di più sull’affaire MALI: Aziz El Yaakoubi racconta il MALI; Il Groupe MALI scuote il Marocco.



“Non sono dei nostri”, “un atto odioso, commesso da agitatori che sfidano gli insegnamenti di Dio e del Profeta”. Ecco come l’iniziativa di un movimento che, in modo inedito in Marocco, riunisce giovani di differenti estrazioni sociali, dai più poveri ai più agiati, è stato interpretato dagli organi di Stato e dalla stampa populista e faziosa. Un’azione che aveva come obiettivo principale l’apertura di un dibattito pubblico sulla non-conformità del Codice penale marocchino con la Costituzione (che stipula chiaramente all’articolo 6: “l’islam è la religione di Stato, che garantisce a tutti il libero esercizio di culto”) e con gli accordi internazionali in materia di diritti umani, che il Marocco ha ratificato da trent’anni (l’articolo 18 del Trattato internazionale relativo ai diritti civili e politici).
Le autorità, per giustificare il loro accanimento, hanno fatto appello al rispetto dei principi condivisi dalla schiacciante maggioranza della popolazione marocchina. Ma quella tirata in ballo dal regime, è piuttosto una maggioranza schiacciata, abituata alla paura ed alla sottomissione, che ha lasciato le “eminenze grigie” riflettere al suo posto. Una maggioranza difesa principalmente da coloro che ne traggono profitto. Il Re prima di tutti, attraverso lo status di “Comandante dei credenti” (art. 19 della Costituzione), che assicura l’obbedienza totale delle masse al capo spirituale e permette al sovrano di utilizzare la fede a scopi politici. In secondo luogo i movimenti islamici, che ne approfittano per lanciare una nuova crociata in difesa dell’identità religiosa. In entrambi i casi viene fatto appello a semplici astrazioni dogmatiche, l’articolo 19 e la difesa dell’identità, per colmare l’assenza di veri programmi politici e la mancanza di riforme sociali ed economiche più che mai necessarie.
In tutta questa confusione, sono i diritti dei cittadini ad essere calpestati, in nome della religione, della morale e dell’identità nazionale. La sollecitazione lanciata dal MALI è rivolta principalmente agli intellettuali, ai democratici e a tutte le forze vive di questo Paese. In attesa di una loro risposta (qualcosa comincia già a farsi sentire), non resta che denunciare l’atteggiamento dei partiti politici. Il dibattito sarebbe dovuto partire proprio da loro, e invece eccoli scegliere per l’ennesima volta la posizione più comoda. Più facile. Seguire le direttive impartite dalla monarchia. Condannare per evitare di discutere, soffocare il dissenso invece di cogliere la provocazione ed aprire un confronto salutare per la nostra società.
Alcuni alti responsabili del potere e della stampa ufficiale hanno attribuito l’iniziativa del gruppo alla mano invisibile delle potenze straniere. Durante gli interrogatori subiti dai sei membri del MALI presenti a Mohammedia, le domande principali degli inquisitori erano volte a svelare i veri istigatori dell’azione. Bisognava assolutamente riconoscere che dietro alla manifestazione c’erano i corrispondenti della stampa spagnola, presenti quella domenica a Mohammedia non in quanto giornalisti accreditati, ma come partecipanti o meglio ancora promotori. Questo per dire ancora una volta come il regime, ed in secondo luogo la “maggioranza schiacciata” della società, si rifiutano di ammettere e di accettare i cambiamenti profondi che minacciano l’ordine stabilito e le idee progressiste sostenute dalle nuove generazioni. Cambiamenti inevitabili per un paese ormai aperto sul resto del mondo, che in più si fregia del partenariato stretto con l’Unione Europea.
Nel momento in cui questo articolo va in stampa, non si sa ancora se verranno adottati dei provvedimenti giudiziari. Se lo Stato decidesse di citarci in giudizio, ciò rappresenterebbe il tentativo disperato di uccidere, prima ancora che sia nato, un Marocco plurale, un Marocco senz’altro migliore.

Aziz El Yaakoubi
(Articolo pubblicato da Le Journal Hebdomadaire, n. 410, 26 settembre-2 ottobre 2009)

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